So don’t give me the typical Twitter bullshit about how great a film is because you wanted it to be great. I wanted it to be great too. It’s far from great, in part because it’s so close to being great. McKay fucked up the tone, perhaps because he didn’t want to rehash the tone of The Big Short. This was a mistake, and Don’t Look Up suffers as a result
It’s fine. But it could have been fantastic.
M.G. Siegler.
Il film di McKay uscito alla vigilia di Natale è una allegoria satirica che fotografa in modo perfetto lo zeitgeist di questi pazzi anni in cui stiamo vivendo. Il potere intramontabile dei media e la democratizzazione che l’esplosione di Internet ha portato con sé ci racconta di un mondo dove è la finzione ad essere la protagonista e la realtà che diventa accettata e accettabile da tutti.
Se lo giudico come un’esposizione culturale e non come film, allora è un capolavoro in grado di raccontare i nostri tempi come nessun’altra opera è stata in grado di fare da The Matrix o da Quinto Potere. Ma se guardo al prodotto cinematografico mi spiace ma lo stile e linguaggio utilizzato mi hanno fatto più e più volte girare lo sguardo dall’altra parte e dire…meh.
Don’t Look Up vuole dipingere il nostro immobilismo nei confronti del cambiamento climatico come il risultato del negazionismo e dell’essere distratti da cose stupide come, ad esempio, un film in streaming su Netflix . Ma il cambiamento climatico non è una cometa diretta verso di noi in meno di un anno, una metafora scadente e difettosa di dove siamo in questo momento. Il cambiamento climatico è un disastro al rallentatore che è stato provocato da generazioni di esistenza industrializzata e per affrontarlo ci richiede di pensare a noi stessi collettivamente come specie e agire per conto di vite al di là dei nostri scopi, in termini di futuro e in termini di tutto il pianeta. La politica rappresentata non è di per sé inquietante ma, come suggerisce questo film, ciò che è preoccupante è che l’erosione della nostra capacità di reagire in tempo, di capire che qualcosa di terribile potrebbe accadere – proprio ora.
A credere alle parole del regista, Don’t Look Up doveva essere «una commedia da risate sguaiate, non da sorrisetti tirati». Evidentemente, alla fine la crisi di nervi ha avuto la meglio e le buone intenzioni sono andate perdute: oltre la condanna di tutto ciò che non va nella nostra epoca e nella nostra società – una condanna alla quale ormai nessuno più ha forza, voglia o ragione di opporsi, e quindi che importanza ha, che coraggio c’è, che soddisfazione si può provare a ribadire la sentenza ancora una volta – di Don’t Look Up restano soltanto i sorrisetti tirati, l’umorismo tagliato con l’accetta come i capelli dei suoi protagonisti.
Don’t Look Up non è un film, è una crisi di nervi
Questo film avrebbe potuto fare qualcosa di più convincente con quella modalità di vertigine inversa accennata nel titolo: quella paura e cecità voluta su ciò che incombe su di noi. Un’occasione persa per aver volutamente e forzatamente inserito battute e satira proprie di una puntata dei Simpson, con un Jonah Hill francamente insostenibile per me, senza contare la leggerezza nel trattare tradimenti e matrimonio, il rapporto con la religione come ultimo appiglio prima del disastro e tanto tanto altro lasciato troppo al caso. Ma se il film aiuta a fare qualcosa per il cambiamento climatico, almeno lo spero, le mie obiezioni critiche su come il film non sia un film fatto bene, smettono subito di essere importanti.
★★☆☆
E invece è proprio qua che soffro: a quanto pare il regista ha detto che questo è un film sul cambiamento climatico, a me non è arrivato affatto come tale, l’ho trovato un superbo trattato rispetto a cose come l’ingerenza delle big tech nella politica, la politica stessa, le reazioni sbagliate che abbiamo nei confronti di eventi come un asteroide o una pandemia, ma se doveva esserci qualcosa di ambientalista… beh me lo sono perso. Ed è questo che forse mi fa orientare verso il sei/sei e mezzo ma non di più.
Probabilmente è questo uno dei problemi del nostro tempo. Dover ricorrere alle interviste dei registi per capire davvero cosa avrebbero voluto dire nelle loro opere. Ovvio, il bello di un film così come qualsiasi altra opera umanistica lascia aperte infinite possibilità di interpretazione da parte del fruitore, ma mi sono sempre detto che se c’è una cosa che un autore debba fare è essere chiaro sugli intenti. Qui a me sembra che ci sia sempre uno zoppicare su tutti i temi trattati e questo incedere un po’ sobbalzante secondo me è causato da una satira troppo forzata e inserita a tutti i costi in ogni parte del film, lasciando lo spettatore piuttosto spesso inerme di fronte alla comprensione di ciò che il regista davvero abbia voluto dire in determinate scene. Sono d’accordissimo con te, per questo l’ho messo proprio come chiusura dubitativa, non sono certo ancora adesso dove si volesse andare a parare riguardo l’ambiente.
Chiudo il cerchio segnalando un mio commento con Luca proprio in merito al grave problema della questione climatica che stiamo lasciando alle generazioni future (ma anche al nostro futuro quando saremo meno in forze e pimpanti di ora).