Quest'amore appena nato, è già finito.

Al di là di tanti spunti miopi e denigratori verso il progetto Superlega, ne ho trovati altrettanti più pacati e disposti a mettere in discussione il calcio europeo per come lo conosciamo oggi.

Un cambiamento è necessario e auspicato da tanti anni. Non per niente il sito thesuperleague.com è stato registrato nel 2008, mica l'altro ieri. Sintomo di un evidente malessere da parte di una manciata di squadre che negli ultimi 20 anni hanno trascinato il carrozzone facendo fare bella figura a chi questo carrozzone lo guarda da fuori e ogni tanto si ricorda di dare una piccola spintarella da dietro.

Tuttavia, seppur di un terremoto si iniziava a parlare da domenica scorsa a seguito dei primi annunci, in poco più di quarantottore il tutto si è ridotto sì e no al movimento prodotto da una gamba agitata sotto a un tavolo.

Il che mi porta alla vera parte interessante. La gestione della comunicazione di tutta questa operazione. 2 giorni folli e di una mediocrità fatta di errori banali e non trascurabili.

Partendo dall'annuncio. Fatto tramite un sito ufficiale e dei comunicati stampa pubblicati su quelli dei singoli club. Un'intervista rilasciata da Florentino Perez, presidente della Superlega, 24 ore dopo e a seguito delle dichiarazioni Uefa dove si promettevano fuoco e fiamme per i 12 "traditori". E da qui qualcosa deve essere per forza accaduto sotto banco e che non ci viene raccontato.

Ok la piccola rivolta dei tifosi. Ok l'indignazione della politica e delle più disparate personalità avulse a questo mondo, ma che si sono sentite il dovere di essere chiamate in causa. Ok la voce di alcuni allenatori e giocatori chiamati in causa.

Ma come è possibile che passate altre 24 ore 6 club fondatori decidano di andarsene? Non era stato fatto tutto per soldi? Per risanare il calcio e dargli una nuova veste? Un giorno per ripensarci e ritornare sui propri passi?

Qualcosa non quadra è evidente. Qualcosa non ci viene raccontato fino in fondo. Strano vero?.

Arriviamo a questa mattina, dove addirittura il presidente della Juventus Agnelli lascia che venga pubblicata la sua intervista a Repubblica, quotidiano posseduto per maggioranza dalla sua famiglia, quando ormai tutto il progetto è ormai naufragato.

Un disastro comunicativo su tutti i fronti. Lascia tutti incazzati e non accontenta nessuno. Andava gestita meglio, se convinti della bontà del progetto andava mantenuta la linea, ma la paura dei poteri forti e di perdere i propri tifosi ha spaventato la maggioranza di chi avrebbe dovuto rivoluzionare il calcio.

In attesa di tempi migliori rimaniamo inermi ad assistere ancora per chissà quanto tempo ancora alle cosiddette istituzioni calcistiche che si fanno scudo ergendosi a paladine dei tifosi, quando in realtà fanno tutt'altro.

È vero, non c’è (non c'era) granché di etico o di meritocratico nel progetto Super League o in una qualsiasi lega esclusiva che neghi l’accesso ad altre concorrenti. Ma comunque vada a finire questa storia, nata lunedì a mezzanotte e un quarto e apparentemente già finita, una cosa deve essere chiara: chi governa il calcio non lo fa come una associazione che vuole il bene dei tifosi e del popolo. Era evidente prima della Super League, e deve esserlo anche dopo, anche ora.

Rivista Undici