La software house danese Playdead è nota ai più per il primo, e unico predecessore di INSIDE, gioco realizzato che risponde al nome di LIMBO. Specifico fin dall’inizio che LIMBO non mi appassionò ai tempi, tanto da abbandonarlo dopo poco, pertanto non sarà una recensione con paragoni e paralleli con il “fratello maggiore”.

INSIDE non ha una storia, non ha una trama, non ha dialoghi, non ha istruzioni e non ha testo. È un puzzle-platform game 2D, dove l’utilizzo delle inquadrature e di un level design magistrale ci fanno abbattere quella sensazione di soffocamento che spesso si ha giocando questo tipo di giochi. Falsa prospettiva al servizio del mezzo videoludico. Per questo lo si considera un 2.5DL’incipit è il ruzzolare di questo bambino ansimante giù per un piccolo burrone. In medias res, nel bel mezzo dell’accaduto, siamo proiettati in mondo distopico dove qualcosa di apparentemente brutto sta succedendo all’umanità, e ci sembra di giocare un ruolo importante all’interno della scacchiera del narrato.

Ciò che afferra e acchiappa in INSIDE sono le ambientazioni, lugubri, disegnate benissimo, dai colori grezzi e dai toni gravi. C’è qualcosa di greve e cupo a regnare sovrano, la pioggia battente, la soffocante e opprimente presenza di giochi di chiari scuri con i quali dovremo imparare a convivere per non essere scoperti e brutalmente eliminati.La morte in INSIDE è cinica e spietata. Un passo falso e la durezza di cani affamati, di sistemi di controllo pronti a spararci una carica di elettroshock, uomini crudeli con una rivoltella sempre sul punto di far fuoco, creature uscite fuori dagli incubi contorti degli sviluppatori.Si, descritto così sembra quasi più un horror che un platform. Ma questo è. INSIDE si riempie di piccole quest e logiche da risolvere senza un attimo di tranquillità, il procedere pertanto è dettato da quanto saremo abili ad evitare di morire.Non è un gioco semplice, ma non difficile. Richiede una buona dose di pensiero laterale, calma e santa pazienza. Perderla sarà normale, prendersi una pausa pure. Camminate, ripensate all’ambientazione circostante e quando troverete il giusto pattern per procedere direte a voi stessi: Come ho fatto a non pensarci prima!E non badate troppo al fatto di morire molteplici volte, ritentate e riprovate in santa pace. I sistemi di salvataggio sono qualcosa di magnificamente progettato. Qualcosa che ogni gioco oggigiorno dovrebbe avere, ovvero salvare costantemente in automatico il gioco in tutti i suoi progressi, facendoci riprendere esattamente dal secondo prima in cui siamo morti, ma cosa ancora più importante poter far accedere ad una timeline per poter giocare qualsiasi punto del gioco sbloccato in precedenza. Divino!

Un gioco della durata di non più di 2 ore, senza un dialogo e una trama, necessita di caratterizzazioni importanti. Le animazioni, la gestione ambientale, l’armonia e il caos sempre in costante antitesi, la fisica responsive nel controllare il nostro personaggio e la sua interazione con quanto lo circonda, rendono INSIDE uno dei giochi più emozionanti e impressionanti a cui abbia mai giocato. Playdead ci ha impiegato 6 anni a completare questo capolavoro di tecnica e sapiente utilizzo espressivo e interattivo del mezzo. E si vede. Il gioco non presenta mai un punto di bug, di glitch, di carenze di frame. Niente. Eccelle in tutto e lo fa con dovizia.Il punto di domanda rimane il messaggio finale, la trama e lo scopo del gioco. Sembra non esserci, nemmeno una volta raggiunta l’impressionante finale non-sense, ma vi ritroverete pad in mano con la bocca spalancata a provare a dare un significato a ciò che è appena accaduto.La ricerca di senso è concetto filosoficamente alto, qualcosa che ancora in troppo pochi hanno il coraggio di ammettere possa appartenere anche ai videogiochi.

INSIDE è qui per far ricredere tutti.