Stavo per andare a fare una pennica dopo le ore piccole di ferragosto, ma ho volutamente rinunciato — ho dovuto rinunciare — dopo la marea di troppo superficiali conclusioni del giornalista de Il Fatto Quotidiano Stefano Feltri su una diatriba di celolunghismo vecchia di decenni: le facoltà scientifiche sono meglio di quelle umanistiche, rovina, secondo lui, del futuro dell’Italia.

Nel primo post Feltri analizza un paper dove viene evidenziato come chi studia le materie umanistiche non guadagna, sarà un futuro disoccupato e, aggiunge lui, ha deciso di intraprendere una carriera di studi facilona perché non aveva voglia di impegnarsi in qualcosa di più complesso.

È giusto studiare quello per cui si è portati e che si ama? Soltanto se si è ricchi e non si ha bisogno di lavorare, dicono gli economisti. Se guardiamo all’istruzione come un investimento, le indagini sugli studenti dimostrano che quelli più avversi al rischio, magari perché hanno voti bassi e non si sentono competitivi, scelgono le facoltà che danno meno prospettive di lavoro, cioè quelle umanistiche.

I ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. Studi difficili e competitivi. Ma chi li completa avrà opportunità maggiori, in Italia o all’estero.

WTF!?Forse sono un prodotto atipico della cultura umanistica italiana, lavoro per una delle più grandi aziende al mondo solo perché ho avuto culo e svogliatamente mi sono trascinato a fare qualcosa di facile e veloce?Ho respirato, ho riflettuto e mi sono detto andiamo a leggere questo benedetto paper catastrofista secondo il quale dovrei guadagnare poco o essere disoccupato. Fortunatamente l’aver conseguito una laurea umanistica, t’oh ma guarda un po’, mi ha permesso di imparare a leggere una ricerca e le ricerche si basano sulla statistica e su un campione di intervistati. E le ricerche producono risultati esplodendo i dati presi da campioni, ovverosia non necessariamente rispecchiano la realtà che raccontano.

Quello che mi sento di dire ai ragazzi italiani (ad esempio ho fatto lo stesso discorso a mio nipote di 18 anni) che stanno per scegliere la facoltà universitaria è lo stesso fatto da Marco in questo video:[embed]https://youtu.be/F0ngqDCImkQ\[/embed\]**Per trovare il lavoro dei vostri sogni dovete avere passione, lottare, combattere contro giganti così come dettagli piccolissimi, ma non permettete a nessuno di dirvi cosa non potete fare. No non è una frase da film, ve lo dico perché io lo sto sperimentando in questi primi 10 anni di carriera.Mi sono laureato in Scienze e Tecnologie della Comunicazione, dopo 3 mesi esatti dalla mia laurea triennale benché fossi già iscritto ad un Master ho trovato lavoro. Ci vuole fortuna e trovarsi nel posto giusto al momento giusto, sono conscio di questo, ma senza la passione e la fermezza delle scelte che ho fatto non sarei dove sono ora. Ci saranno fallimenti e delusioni, porte in faccia, ma anche tante, tantissime soddisfazioni. Ve lo prometto.Credete in voi stessi, alcune volte servirà accontentarsi, ma soprattutto non aspettatevi di guadagnare migliaia di euro il giorno dopo usciti dall’Università. Ci vuole tempo e dedizione, ma se si stabiliscono degli obiettivi li si possono raggiungere. L’Italia vi ferma? Uscite dal Paese e tornateci quando avete fatto quello che dovete.Se il lavoro non c’è, come dice Marco, non aspettate e createvelo. No, non bisogna aver studiato Economia o Ingegneria per creare una start-up, per farlo servono idee, spirito di sacrificio e collaborazione.Andiamo avanti. Nel secondo post** Feltri invece si sente di dare spiegazioni più approfondite al primo:

se guardo al mio percorso universitario con la logica dello studio del Ceps, come investimento finanziario è stato ottimo. I miei genitori, non certo senza sacrifici, hanno investito parecchio sulla mia educazione. Solo di tasse universitarie cinque anni in Bocconi costano circa 50mila euro, più le spese come studente fuori sede ecc. Non potevo accedere a borse di studio e sostegni perché riservati alle famiglie con redditi più bassi della mia o a quelle degli evasori fiscali, che risultano poverissime.

La nomea dell’università e — mi piace pensare — le conoscenze e le competenze acquisite mi hanno permesso di trovare subito il lavoro per il quale mi stavo preparando, cioè il giornalista

Posto che chi si laurea in Bocconi si sente sempre un gradino sopra gli altri. Il paragrafo su riportato mi ha dato da pensare. Il sunto che ne faccio è l’equivalenza ho pagato 50.000 euro di tasse universitarie = mi sono comprato l’accesso al mondo del lavoroAh si, seconda osservazione. Fare il giornalista non è una professione umanistica? Forse ho perso io qualche pezzo.Ma arriviamo al capolavoro finale:

Dal lato delle scelte collettive, cioè le politiche pubbliche, dovremmo tutti chiederci se ha senso sussidiare pesantemente università che producono disoccupati e formano persone che nessuno sente il bisogno di assumere o retribuire adeguatamente. Tradotto: meglio avere molte facoltà di filosofia e scienze della comunicazione o chiuderne qualcuna e magari dare più incentivi alla ricerca in campo chimico o elettronico? Parliamone.

Quindi chi lavora nelle PR, Marketing, Comunicazione; Digital PR, Social Media, Art, Copy, etc. etc. etc. che sono solo una piccolissima parte del mondo umanistico dovrebbero placidamente sparire lasciando il mondo del lavoro a chi si è acculturato a suon di numeri e teoremi matematici, tanto sapranno coprire le lacune lasciate dai primi.Certo.Chiedete ad un ingegnere di non essere analitico, poi vediamo come le aziende per le quali andrete a lavorare o le vostre, se ne creerete, una saranno in grado di comunicare efficacemente.

Nessuno dice che le materie che si studiano nelle facoltà che garantiscono redditi bassi e disoccupazione siano da disprezzare (con qualche eccezione, magari, ma di corsi inutili se ne trovano ovunque). Anzi, spesso sono interessantissime e cruciali per la nostra formazione come individui. Ma quello che forma l’individuo non necessariamente è utile anche a formare un lavoratore.

Ancora. Ancora una riflessione dove chi lavora deve essere una specie di disadattato costretto a spendere delle ore della propria giornata tirando fine mese facendo qualcosa che odia, solo perché è così che funziona l’Italia.Cazzate. Tutte emerite cazzate.La verità è che questo Paese necessità di qualsiasi tipo di figura lavorativa, disquisire sulla carenza di sforzi in ricerca scientifica ha poco a che vedere con la scelta della facoltà universitaria.Vero è che ce ne sono alcune in grado di avere un impatto più forte e immediato sul mondo lavorativo, il quale sta subendo una trasformazione tecnologica e digitale senza pari. Indi per cui sono anche io convinto che un laureato in Informatica abbia più chance di uno storico specializzato in guerre puniche.Ma questo Paese non andrà in declino per troppi laureati in Lettere o Filosofia, i problemi legati alla disoccupazione sono ben altri e completamente distaccati dal sistema educativo da scegliere a 19 anni.Caro Stefano, come vedi anche i numeri scritti nero su bianco possono non raccontare la realtà e cosa davvero succede in Italia. Perché come me conosco decine di ragazzi con il mio stesso percorso di studi o similari che ce l’hanno fatta, sono affermati e rifarebbero la stessa scelta ad occhi chiusi, considerando un passo fondamentale l’aver snobbato una facoltà non umanistica.