Un assaggio di normalità

Oggi è toccato a me uscire per fare spese.Dopo quasi un mese ci mancava qualche prodotto in dispensa. Banalmente qualche uova per fare una torta Lindt, un po’ di affettato, e tante altre piccole grandi cose.Pensavo di andare domani. Invece, dopo il giretto delle 13 con il nostro cane rincasando ho rimuginato su una considerazione.Chi doveva far spese ci è andato per Pasqua e Pasquetta quindi a rigor di logica, oggi, non ci sarebbe dovuta essere troppa coda all’Esselunga del mio paese.A differenza di Giovanni, che abita in città e immagino lì sia sempre una coda perenne, ho avuto tanta fortuna devo dire. Alle 14 all’ingresso principale non c’era un’anima. Piccola postilla, giusto per rassicurarmi ho dato un’occhiata a FilaIndiana. Sai mai che non ci azzecchi. E rincuorato da quel 0 minuti mi sono fatto strada verso quel simbolo del consumismo.Test temperatura superato al primo colpo. Nel supermercato non ci saranno state più di 40 persone. E forse per la prima volta è stato quasi un piacere fare la spesa, avrò contato si e no 3 persone a corsia. Certo, con molte di loro ci siamo sfiorati più volte alla ricerca della stessa tipologia di prodotto, ma essendo tutti dotati di mascherina e guanti, non ci siamo fatti troppi problemi.Ho notato come ad alcuni scaffali fosse impedito l’accesso tramite il classico nastro di plastica rosso e bianco. Il motivo, però, non riesco davvero a comprenderlo. Già che sono lì, perché non posso allungare la mano e recuperare un piatto o una stringa per le scarpe se necessario?Tutti i reparti erano ampiamente forniti. Solo il lievito sparito, farina scarseggiante, così come le bottiglie d’acqua. Per il resto sembrava di essere in uno di quei sabati mattina di spesa settimanale, solo con molte meno persone.Per quei 40 minuti in cui sono stato dentro ho assaporato un piccolo assaggio di normalità, un piccolo cosmo al di fuori della pazzia di questi giorni.L’aver inforcato l’uscita sbagliata, subito ripreso dalle guardie interne, mi ha riportato in pochi secondo con i piedi per terra.

Friends will be Friends

10 stagioni di Friends. Sciroppate in meno di un mese.Non avevo mai visto tutte le puntate di Friends. Almeno non con la giusta consecutio temporum.Ho pensato a lungo prima di scrivere questo post, del resto su questa serie è già stata scritta e detta qualsiasi cosa e di certo il mio personale parere non ha nessun peso specifico. Ma ci ho dovuto riflettere un po’ prima di capire cosa fosse.Delle sensazioni mescolate, un passato che ho avuto la fortuna di vivere insieme a una realtà diversissima dalla nostra. Una finestra su un mondo lontano in cui le relazioni forse avevano un sapore più intenso perché non complicate dalla tecnologia.

Nostalgia

Tanta nostalgia degli anni ’90 cantava J Ax quando ancora era una persona seria. Sì forse il primo sentimento è la nostalgia. Di un tempo in cui ero in pre-adolescenza e guardando quello show potevo vedere cosa mi sarebbe potuto accadere, da lì a poco, nella mia vita almeno a livello di drammi personali. Un tempo in cui non c’erano telefonini, e si riusciva a malapena a mandare un’email in mezz’ora di connessione.Un tempo in cui la sola preoccupazione era uscire a giocare a pallone prima e avere il motorino per far colpo sulle ragazze poi. Un momento di transizione. In cui la parte più difficile di tutte probabilmente era il riuscire ad esprimere i propri sentimenti, in tutti i sensi.Un tempo in cui si riusciva a stare in una stanza con altri amici senza aver nulla da fare per mezz’ora, e andava bene così. La relazione interpersonale aveva l’assoluta centralità.

Distanza

Il micro-cosmo di Friends è stato e sempre sarà distante dal nostro per tante ragioni. La prima, la più ovvia, è quella geografica. La seconda è quella culturale. O meglio, di emancipazione.Difficilmente, se non per ragioni di studio, in Italia un ragazzo o ragazza si sarebbe trasferito in un appartamento a vivere con altri coinquilini appena terminati i propri studi universitari. E sebbene potesse essere un sogno, un’aspirazione, per tanti, in realtà così non sarebbe mai stato. Al massimo in affitto con il proprio/la propria compagna, ma null’altro. È una distanza dettata da un retaggio sud europeo, in cui l’italiano è mediamente campione, lasciare la casa dei genitori il più tardi possibile.È una distanza d’emancipazione lavorativa. In pochi anni tutti e sei i ragazzi fanno mediamente carriera, ricoprono ruoli importanti non ancora 35enni. Fate un po’ il pari con il nostro paese dal 1994 in avanti. Oggi, forse, è ancora peggio che 25 anni fa.In Friends, infine, i problemi esistenziali sembrano sempre all’acqua di rosa, facilmente risolvibili con una battuta di spirito e affrontati con estrema leggerezza. E sebbene questo sia in aperto contrasto con le sfide che la vita vera ci pone davanti, quest’approccio può diventare la chiave di volta.Il più delle volte la risposta dovrebbe essere “è così, e poco posso farci”. E va bene lo stesso.

La migliore di sempre?

Non so dire perché Friends venga reputata la serie più bella di tutti i tempi, forse per la sua semplicità, per quel puzzle creato da sei tasselli talmente diversi da combaciare perfettamente e in grado di raccontare le tante sfaccettature della generazione X.O probabilmente perché è riuscita a raccontare gli stessi problemi che ai tempi accomunavano quindicenni fino ai trentenni e a tutti è riuscita a dare una qualche forma di risposta o di strada da seguire per vivere la vita con un po’ più di leggerezza e autoironia.Ho provato a cercare articoli sulla stampa americana di qualche anno fa, per provare a comprendere meglio cosa sia stato questo fenomeno per loro. Non ne ho trovati moltissimi a dire il vero, ma questo li raccoglie un po’ tutti e può dare un’idea di cosa è stato questo fenomeno all’inizio della sua avventura.Non so con quale spirito rivedrò gli episodi di Friends se mai mi dovesse capitare l’occasione. Immagino però il rifiuto in quanto già visti, ma soprattutto il rifiuto di dover ripiombare ad un’epoca che non tornerà più e alla quale, forse, non dovremo più ispirarci.★★★★

Brand e virus

Sono partito da questo tweet per riflettere un poco sulla comunicazione dei brand, in queste settimane di lockdown.Da qualche giorno in TV vediamo spot pressoché identici. Il registro delle parole utilizzate, il tono e il messaggio sembrano essere uguali tra di loro. Sostituite il logo di quel supermercato a quel marchio di pasta o a quella compagnia telefonica e cosa otterrete?Sono perfettamente intercambiabili e sovrapponibili.Si gioca sul lottare, resistere, tenere duro, ringraziare. Mantenendo sotto traccia quello spruzzo di slancio comunicativo per convincere a scegliere questo o quel brand rispetto ai propri competitor.Come se uno spot emotivo, in questo momento storico, fosse il driver principale per smuovere l’intenzione d’acquisto. Il fine ultimo è fatturare, ricordiamocelo sempre.È già tanto se si riesce ad entrare nei supermercati o prenotarsi una spesa online. Non credo i consumatori stiano facendo troppo i difficili nella scelta dei prodotti da mettere in saccoccia. Quello che c’è c’è, si infila nel carrello e si cerca di tornare il prima possibile a casa.È difficile, a meno di cappellate galattiche, che la percezione del brand sia modificata di molto nei cuori delle persone. È rimasta ferma a fine febbraio e così sarà finché non ci sarà un ritorno alla normalità. E benché siano lodevoli sforzi, le pubblicità strappalacrime non sposteranno di molto il fatturato.Sono curiosissimo se e come i suddetti brand proseguiranno anche nel post-covid19. Se torneranno alla comunicazione precedente, o comprenderanno che da ora in poi il tono di voce, l’essere trasparenti e mossi dall’etica siano i primi registri da cui partire per raccontarsi, e non gli ultimi.O almeno che siano in grado di rendere migliore la vita delle persone in questi momenti di ansia e paura.

😷

Convivere con la mascherina non è semplicissimo. Forse basterà farci l’abitudine, o forse scegliere un modello più comodo. Magari i designer tra qualche mese penseranno anche a questo e la renderanno un oggetto di moda e alla moda.Al momento sto usando una FFP2, ha un ferretto che poggia sul naso. Ieri sono andato in farmacia e ho fatto un po’ di telefonate e dovuto mandare in un po’ di email nell’attesa (c’erano 9 persone in coda alle 18). Ecco le prime difficoltà che ho notato:

  • Impossibile parlare al telefono senza avere quella sensazione di soffocamento costante, o senza sembrare di avere qualche malformazione alla bocca
  • Se avete un iPhone — dall’X in avanti — (se avete Android, non lo so) è fondamentale disattivare Face ID. Il device è impossibile da sbloccare se non con il codice. Tanto vale passare direttamente alla tastiera. Chissà se Apple si ingegnerà altrimenti per, che so, leggere soltanto l’iride ?
  • Il ferretto sopracitato, dopo un’ora e mezza inizia a creare dei solchi che nemmeno il traforo del monte Bianco e ancora una volta ho provato ad immedesimarmi in chi per forza di cose deve tenerla su tutto il giorno una benedetta mascherina

A proposito di mascherine. Ieri citavo l’impressionante scarso coordinamento nelle comunicazioni regionali lombarde. E ovviamente cosa sarebbe potuto accadere quando vige la confusione? Questo.Immaginate quando si inizierà a fare proposte su una possibile data di riapertura e quando essa arriverà. Secondo voi cosa potrà mai succedere?

Fluxes. Puntata 13.

Quarantena. Stagione 2.

Cerco di stare il più lontano possibile dai social per la quantità di ignoranza e di boccaloni allucinante, in grado di credere a qualsiasi panzana. Ho tagliato i capelli a Noemi e lei ha tagliato i miei. Abbiamo persino tirato fuori Trivial Pursuit. Ordinato l’acqua in vetro per non dover uscire di casa. Battuto solo strade di campagna per evitare il contatto con il mondo per portare fuori il nostro cane.Finalmente riesco a stare seduto fuori in balcone al sole a scrivere e lavorare con Spotify in sottofondo. Oltre alle ambulanze e ai cani si è intensificato il via vai dei trattori delle cascine adiacenti, intenti a preparare i terreni qui affianco per le coltivazioni dei prossimi mesi.Sarà che da venerdì oltretutto è disponibile la nuova stagione de La Casa Di Carta e la stiamo divorando come nostro solito. Sarà come tutta questa faccenda viene gestita, comunicativamente parlando, ormai appare sempre più chiaro di trovarci dentro una serie a puntate — la conferenza stampa delle 18, il premier Conte che ogni tanto se ne esce fuori con un nuovo singolo e afferma la suddivisione in tre fasi per il nostro ritorno alla normalità — di cui nessuno sa bene il finale, né come scriverlo.Perché gli autori non si sa chi siano e alle parole purtroppo non seguono i fatti. Anzi, solo bugie.Da oggi parte ufficialmente la seconda stagione, perlomeno qui in Lombardia. Hanno lasciato la scrittura a degli sceneggiatori di bassa categoria purtroppo. E non solo ci ritroviamo l’obbligo — più che sacrosanto — di dover uscire da oggi in poi con una mascherina, ma quest’ultimo può essere ridicolmente soddisfatto anche da una sciarpa.A voi le debite conclusioni sull’utilità di una misura del genere, benché sembri che la copertura del volto (fatta bene ovviamente) possa essere un buon deterrente alla diffusione del virus.E questo non è che un piccolo tassello del cortocircuito. Da un lato i media diffondono un flebile miglioramento di giorno, con pronta smentita la sera, dall’altra la pazienza di tutti messa a seria prova, il sole e l’incertezza spingono tanti a voler uscire dall’uscio di casa.Tanto una sciarpa è sufficiente.E perché, diciamocelo, ancora per quanto si può andare avanti in questo modo?L’Italia non può reggere ancora per molto. Di mascherine non ce ne sono abbastanza per tutti e nonostante le immagini dei telegiornali ci dicano il contrario, sono praticamente introvabili. Se non si lavora non si guadagna, se non si guadagna non si mangia. Le misure del governo non sembrano essere sufficienti per il sostentamento di tutti. E quando le persone inizieranno a sentire forte la fame, allora sì saranno guai. Altro che sciarpe.Purtroppo siamo una barca in tempesta, i timonieri si susseguono come in un provino di X-Factor e siamo più preoccuparti di cosa fanno le barche attorno a noi, piuttosto di salvare il nostro equipaggio e tutti i passeggeri.In attesa del miracolo Pasquale o di un vaccino in grado di calmare le acque.

Quanto è difficile comunicare

In realtà non tanto, il difficile è farsi capire. E quindi della comunicazione c’è bisogno di azzeccarne i tempi, i modi e i contenuti.Elementi in cui le istituzioni italiane non sono certo prime in classifica.Con il decreto Cura-Italia alcune categorie di lavoratori possono beneficiare di 600€ messi loro a disposizione attraverso una domanda apposita da dover compilare sul sito dell’INPS a partire da stamane.Con scarsa chiarezza sulle modalità di erogazione e sulle modalità di accesso a questo credito, si è diffusa la notizia che questi soldi fossero ottenibili con una logica first come first serve. Cioè se fossi stato tra i primi a presentare la domanda sul sito, avresti avuto accesso ai soldi.Cosa assolutamente falsa.Ma il problema si ingigantisce non di poco quando il sito dell’INPS inizia a mostrare a chi si fosse loggato i profili di altre persone. Profili che avevano fatto accesso in precedenza e tenuti in cache sul server, generando così un data leak impressionante. Matteo Flora lo spiega molto meglio di me.Ora, non sono esperto in materia, ma arrivare ad imputare tutto questo disastro ad un attacco hacker sarebbe ancora più grave, perché significherebbe che un sito tanto importante non si basa su criteri di sicurezza impenetrabili, come invece dovrebbe essere.Sempre oggi si è generata un’ulteriore confusione. Dapprima il governo dice che ora anziani e un genitore con un minore possono uscire a fare due passi. Le regioni subito dopo smentiscono.Smetto qui di fare la radio cronaca della giornata. Avrete tutti letto quanto sopra da me descritto ormai da ore, ma ho voluto riproporre qui questi avvenimenti per sottolineare ancora una volta la totale mancanza di coordinamento e gestione della comunicazione da quando questa pandemia ci ha iniziato a toccare da vicino.Dai mille moduli per l’autocertificazione, ogni sera una conferenza stampa del Primo Ministro, chi avrebbe dovuto chiudere e chi continuare a lavorare, chi sarebbe potuto uscire e a che distanza, fino ad oggi, ancora più grave, come gestire la distribuzione di quel poco di reddito in più per sostentarsi in queste difficili settimane.Generando cosa? Di nuovo panico, confusione, e comportamenti insensati che provocheranno una deriva certa. Il continuare a posticipare il termine di questa forzata quarantena, perché più incomprensione si crea, peggio le regole vengono rispettate.Perché? È una questione culturale probabilmente. È una faccenda molto complessa, e arriva da parecchio lontano. Quando ci vengono imposte delle regole, c’è sempre il furbetto di turno. Quello che fa finta di niente e ti passa davanti mentre sei in coda, che è lo stesso che butta la cicca della sigaretta dal finestrino o che se ne frega della raccolta differenziata. Potrei andare avanti per ore.Mi auguro ci sia chiarezza comunicativa però su una faccenda ancora scoperta, una faccenda che riguarderà tutti e non si sa ancora se di botto oppure a scaglioni. E non ci sono parole migliori di quelle di Paolo Giordano sul Corriere della Sera di oggi.Ci è dovuto.

Non vedo come possano essere anche solo congetturate delle riaperture senza prima una risposta a ognuno di questi quesiti. Se le risposte esistono già, o se almeno esistono delle ipotesi concrete di lavoro, che ci vengano illustrate. La conferenza stampa delle 18, la nostra nuova lugubre occasione di raccoglimento, si presterebbe bene a mostrarci a che punto sono i cantieri. Una linea di fuga in avanti avrebbe, tra l’altro, un effetto incoraggiante diverso dall’ostensione glaciale dei numeri. Quando il picco sarà oltrepassato, perderanno in molti la motivazione per restare isolati e servirà una tabella di marcia da completare, anzi serve già. Il nostro futuro prossimo non può essere una scatola nera, né possiamo permetterci di aprire quella scatola e scoprire di averci messo dentro degli oggetti alla rinfusa. Perciò qualcuno smetta di fissare il picco, adesso, e ci parli con precisione di cosa ci aspetta quando attraverseremo finalmente la soglia di casa.

Quando passerà

Non è questione di se, ma di quando.I media stanno iniziando a ipotizzare possibili date di ripresa, di riapertura delle imprese e attività, di ritorno alla vita lasciata a fine febbraio.Azzardi forse troppo forti. Le persone non sono abituate a rimanere in casa, per un periodo così lungo poi, davvero durissima. Comprendo la voglia di accendere la speranza, di dare un segnale positivo, ma se poi non si realizza, finiamo per farci solo del male.Se, come dicevo ieri, la rete sta aiutando a cambiare marcia, ad innamorarsi, a tendere una mano in modo innovativo, dall’altra parte genera una pluralità di fonti, opinioni e post-verità sempre più difficili da discernere e da valutare come credibili e affidabili.Ed è estremamente facile credere a questa o quell’altra voce, mandare qualche messaggio su whatsapp con i classici, ho letto, dicono, mi hanno detto…e l’effetto a catena è servito. Nel migliore dei casi il panico vince sulla verità di informazione.Anche questo aspetto sarà un accento sul quale porre estrema attenzione quando tutto questo sarà finito. Il senso civico perduto, la totale assenza di spirito autocritico, l’arrogarsi il diritto di essere tuttologi, questo uccide più di qualsiasi altro virus.Ad ogni modo, dopo questa pantomima passiamo alle faccende odierne.Non so se anche voi abbiate il vostro telefonino innondato da video o foto di meme su questa quarantena. I primi giorni li trovavo estremamente divertenti, ne condividevo anche io molti. Ora li trovo noiosi e di cattivo gusto. Non so bene perché ma non scarico nemmeno più il loro contenuto e il più delle volte rispondo con una faccina divertita senza nemmeno averlo fruito.Sarà che anche io abbia voglia che tutto questo finisca presto.In questi giorni sto bevendo solo un caffè al giorno, al mattino dopo la passeggiata con il cane, e finalmente sto sfruttando a dovere le capsule riutilizzabili per la nostra macchina Nespresso. Anche in ottica di ridurre gli sprechi, queste capsule permettono di fare refill di qualsiasi caffè siate appassionati, restituendo sostanzialmente lo stesso risultato di una capsula originale.Per ora ho provato caffè Corsini che mi hanno regalato a Natale e da poco ho iniziato Lavazza Crema & Gusto. Decisamente buono e più deciso, assomiglia molto di più a un espresso. Anzi a metà tra la Moka e l’espresso del bar.I Cafilas sono su misura per macchine differenti, quindi prima di acquistarli bisogna verificare sempre bene la compatibilità qui. Infine, ultimo consiglio, il caffè va pressato bene, altrimenti potrebbe risultare troppo “acquoso”, ma come si fa nelle macchine da bar è necessario dare la giusta pressione per avere un caffè degno di questo nome.

Nessuno si salva da solo

Continuo a leggere questa frase un po’ ovunque. Quotidiani, giornali online, social.Ieri sera poco prima di andare a letto un’ambulanza si è fermata nella nostra via, non ci siamo affacciati per rispetto. Stamattina parenti di una mia cara amica ho saputo essere positivi. Insomma, c’è il rischio di cadere nella sindrome di accerchiamento e penso sia l’approccio più sbagliato possibile. L’ansia penso sia normale, visto che chiunque di noi è esposto in egual misura, ma rispettare ciò che ci dicono di fare mi pare il minimo sindacale.Rispetto all’inizio dove la diffidenza era massima, sto però iniziando a notare una fortissima risposta da parte di tanti. Stati amici o cittadini comuni, ad esempio nel paese accanto al mio un paio di cittadini comuni hanno messo a disposizione un appartamento per medici, altri hanno inscenato una raccolta fondi estemporanea in cortile con un megafono, altri ancora semplicemente hanno offerto sostegno economico a chi non riesce a fare la spesa alla terza settimana del mese.E qui non è più semplice solidarietà, quella che ti fa aprire il conto in banca e inviare un bonifico, qui si tratta di fare tutti uno sforzo per non lasciare indietro nessuno. E penso sarà sempre più comune questo tipo di azioni, specie dopo che le notizie economiche finanziare saranno sempre più negative. Perché tanti, anzi, tutti ne saremo toccati ed è questo il momento di rispolverare quel concetto di comunità ormai scomparso da tanto e da tante fasce della società.È difficile prevedere cosa ci lascerà questa situazione una volta terminata, ripensare il modo in cui lavoriamo, interagiamo e viviamo la socialità. Spero sia un’evoluzione repentina che necessariamente ci toccherà tutti e spero parta proprio da quel digitale, simbolo della nostra arretratezza e lontano ancora dai poteri forti.Concetti espressi bene sul Corriere della Sera di stamane dal direttore generale della LUISS. Sto leggendo sempre di più i due quotidiani più diffusi in Italia, specialmente le pagine culturali. Quanto meno non rischio di trovare qualche news smentita il giorno dopo, anzi al contrario spunti di riflessione molto interessanti.Oltre a tonnellate di musica, penso finalmente riuscirò a smaltire un po’ di libri arretrati. Sta per iniziare una nuova settimana, finalmente con un filo di luce in più. In tutti i sensi.

Watch your back

Ormai è la nuova normalità anche questo.Uscire e cercare di rispettare ciò che la legge impone è tremendamente complicato.200 mt dal portone di casa “a mano” sono un po’ incalcolabili per tutti e si va a buon senso spero.Stasera sono dovuto necessariamente andare a casa dei miei. Sono in Liguria da metà febbraio. Partiti per seguire dei lavori in casa nuova. Non sono, ovviamente, ancora tornati. Però hanno lasciato qui le carte di credito che adesso servono per fare qualche acquisto online.La casa credo disti in linea d’aria 500 mt. Camminando forse un po’ di più.Mi sono bardato con mascherina e guanti. Nella testa la sensazione di essere Will Smith in “Io sono leggenda”. Nel cuore la paura di essere fermato.Ho rischiato, me ne rendo conto. Fortunatamente non ho incontrato nessuno e perciò la mia coscienza si sente un po’ più a posto. Ho riempito una borsa con qualche cibo in via di scadenza per non farlo andare a male, ma ho fatto male i calcoli, pesava troppo e la borsa si è rotta a metà tragitto.Penso uscirò più di casa se non per portare fuori il cane o per procacciare cibo. Questa volta con equipaggiamento di borse adeguato.Qui ormai bisogna guardarsi attorno con circospezione.Appena rientrato a casa poco fa mi sono accorto che ha parlato il Presidente della Repubblica. E penso che se su YouTube abbiano caricato una versione con questo delizioso fuori onda, sia stato più che voluto.Del resto appena si potrà i barbieri faranno soldi a palate ✂️.Ah sì. Oggi ho fatto questa cosa qui.Domani non farò la cronaca della giornata, ma vi lascio con la recensione di Doom Eternal. Ci si rilegge domenica.Forse.