Si chiama Ava (che felice assonanza con Eva, il nome della prima donna creata da Dio), ha sembianze femminili, e se non fosse per il suo corpo percorso da cavi di fibra ottica a fatica la si scambierebbe per un’androide. Caleb è li per quel motivo, provare a constatare attraverso il test di Turing che in effetti è impossibile accorgersi della differenza.Il concetto fila, sta in piedi, e non siamo tanto lontani nel tempo da un’altra storia a cui ho dato molto spazio un anno fa di questi tempi, Her. Come in Her, Ex-Machina affronta il tema tremendamente attuale di quanto l’uomo sarà in grado di tenere a bada le “macchine” di matrixiana memoria, e se sarà in grado di controllarle nel momento in cui le intelligenze artificiali avranno piena coscienza di loro stesse.Se in Her le macchine decidono di ritirarsi dalla scena, in Ex-Machina abbiamo la sindrome alla base di Pinocchio. Nella favola di Collodi il burattino desidera più di ogni altra cosa al mondo di diventare un bambino vero. Allo stesso modo Ava è così avanzata da percepire di essere una macchina soggetta a miglioramenti, spegnimenti, modifiche e perdite di memoria. E farà di tutto per evitarlo.Questo si esplicita quasi subito, nei primi dialoghi tra Ava e Caleb:

AVAWhat will happen to me if I fail your test?

CALEB Ava -

AVA Will it be bad?

CALEB … I don’t know.

AVA Do you think I might be switched off? Because I don’t function as well as I am supposed to?

CALEB … Ava, I don’t know the answer to your question. It’s not up to me.

AVAWhy is it up to anyone? Do you have people who test you, and might switch you off?

La trama è fluida, prosegue spedita e le lacune individuabili in alcuni dettagli della stessa hanno il pregio invece di essere narrate senza soffermarsi troppo su di esse, rivelatasi poi una scelta stilistica molto acuta al termine del film.[embed]https://youtu.be/zg23CSUm1qk\[/embed\]Il tema è stato trattato in lungo e in largo nella storia del Cinema, tuttavia in Ex-Machina la semplicità con cui viene trattato aggiungendoci il restringimento del lasso temporale per cui ciò potrebbe effettivamente verificarsi lo presenta con la necessità di riflessioni maggiori su quanto potrà accadere da qui a qualche anno nell’ambito della robotica e intelligenza artificiale.Il finale è inatteso e spietato, ma freddo e plausibile negli avvenimenti. Risolutori quanto basta per far corrispondere Ava a quello che realmente è.Come è girato?Il campo di ripresa è sempre pieno, di oggetti, di persone, di androidi. Questo fa pari con le sensazioni claustrofobiche del bunker in cui si svolge l’oltre 90% del girato. Spazi stretti, angusti ove non si può sfuggire né da se stessi, né dalla realtà artificiale creata per allontanarsi da quella reale.È un pugno diritto in faccia, come a dirti “Dove stai andando? Tanto da qui non si scappa”. Chi ha diretto la fotografia poi ha fatto un sapiente uso di rimandi e similitudini. Davanti ad un quadro di Pollock, l’umano che gioca a diventare Dio sistemando il caos del mondo esprime tutta la solitudine di un arricchito in preda alle più becere manie di grandezza, senza uno scopo alcuno.

Concedetemi un ultimo parallelismo con Her. Come non notare anche in questo caso la splendida scena finale, dove viene scelto di chiudere con una serie di proiezioni di ombre di alcune persone intente a camminare.Assumono un significato molto potente, i robot, le intelligenze artificiali o qualsiasi altra diavoleria ci inventeremo per farla assomigliare a noi, altra non è che la proiezione di noi stessi.

Non ho giudizi sulla colonna sonora, in quanto non si è fatta apprezzare, così come le ambientazioni eteree e prive di connotazioni in grado di risaltarle.Gli effetti speciali sono così reali da sembrare quasi del tutto invisibili, morbidi e mai troppo accentuati. The Verge ha realizzato un breve documentario per raccontarli meglio:Resta una pregevole esecuzione, sono certo questa estate tornerà a far parlare di sé.Ps. se volete divertirvi creando una versione robotizzata di voi stessi c’è il sito: https://ava-sessions.com/