Ieri pomeriggio siamo capitati in una rivendita di vinili usati. Sapete, una di quelle situazioni in cui ci sono tante bancarelle diverse in cui le persone vanno a cercare quella chicca da collezione, a iniziarne una, oppure semplicemente a fare i nostalgici di un ritorno a un passato che non c’è più. In realtà ci siamo andati perché uno zio di mia moglie fa mercatini e rivende quel tipo di mercanzia.

Ci raccontava delle varie tipologie di avventori. Tra i tanti casi, più o meno umani, sembrano esserci tanti giovani attratti dal supporto. Tanti in cerca di album perduti, in cerca di un suono diverso…? Non lo so, non ho mai ascoltato il vinile, ma leggevo qui e anche altrove che la sua qualità seppur caldamente artigianale tanto da risvegliare mode, non è migliore rispetto a una cassa di buona qualità attaccata a un servizio streaming.

Mi ha fatto riflettere sulle possibili altre motivazioni. Ancora di più sul momento “fruizione musica”. Ne esiste ancora uno? Esiste un preciso momento in cui dite a voi stessi…oooh fanculo tutti, ora mi metto sul divano e mi sparo un disco dall’inizio alla fine senza rotture di scatole tirando fuori un vinile?

Se è così, vi invidio. Riflettendoci non ne ho mai avuto uno. La musica mi è arrivata sempre in momenti “altri”. In auto, dallo stereo mentre studiavo, dalle casse del computer mentre digitavo i miei primi caratteri, dalle casse Sonos connesse in filodiffusione in casa o non ultimo dalle cuffie collegate allo smartphone.

Ritornando alla prima domanda, cosa cerca chi compra ancora un supporto fisico? È strettamente legato a un momento speciale nella loro vita in cui c’è solo musica e nient’altro. Se si tratta di esperienza d’ascolto più che un effettivo ascolto qualitativo (inteso proprio di bitrate percepito dall’orecchio)?

Chi sa mi risponda 😆. Poi, come ogni volta in cui penso di scrivere qualcosa gli atomi del mondo si connettono e trovo strascichi del mio pensiero altrove. Sull’argomento questo weekend il post di plus1gmt trattava di striscio l’argomento in un passaggio:

Oggi ciascuno di noi ha a disposizione la propria radio personale che, come fanno i liceali con le versioni di latino che rintracciano nelle occasioni in cui ancora qualcuno chiede loro di mettere in pratica le regole di traduzione, evoca secondo un palinsesto il più in linea con i propri gusti. Il rischio è, come saprete, che manchi l’intermediario esperto in grado di ampliare le conoscenze dell’ascoltatore che, abbandonato a sé, finirebbe per non aggiornarsi più. Un rischio che abbiamo accettato di correre, sacrificando il richiamo dell’ignoto alla comodità. Il punto è che nell’abbondanza delle scorte – le piattaforme di streaming contengono qualsiasi rumore emesso dalla totalità degli esseri umani dalla loro comparsa sulla terra – non ci siamo ancora abituati al fatto che le canzoni sono sempre lì. Per questo ci sono ancora individui a metà strada di questo processo di cambiamento, persone che acquistano musica su supporti fisici (ma la stessa cosa vale per i libri o i film o per l’arte o per le cartine geografiche o anche solo le fotografie) per possedere le canzoni. L’equivoco è che la ricchezza consista ancora nella proprietà privata delle cose che ci piacciono per poterne disporne in ogni momento. Da qualche anno ascolto una stazione radio che è molto in linea con i miei gusti. Non ci sono speaker inutili ma è una infinita playlist piena di musica di cui sono in possesso e di altra tutta da scoprire. Non c’è molta differenza tra questo modello e Spotify, ma l’ascolto a sorpresa di un pezzo che amo è un piacere che continua a non avere confronti.

Io ad esempio non potrei fare più a meno di Spotify. Della Discovery Weekly ancora di più che le scoperte casuali tramite playlist di amici o trovate in Rete. L’algoritmo ha raggiunto un certo grado di raffinatezza nei miei confronti per cui non troverei soddisfazione altrimenti. Sono uno a cui piace ascoltare costantemente nuova musica, come per i libri, difficilmente torno ad ascoltare un disco intero per più di qualche manciata di volte. Trovo particolarmente soddisfacente il fatto di sapere di avere a disposizione con pochi click la prossima band che mi farà rinnamorare nuovamente del rock and roll, e questo per me è sostanzialmente irrinunciabile.

Dall’altra tutto questo potrebbe dissolversi nel nulla da un giorno con l’altro. Se domani cessassero di esistere contemporaneamente tutti i servizi di streaming io dovrei ricostruire un decennio di libreria musicale che ho consegnato nelle mani di società private. Uno scambio equo nel quale entrambe le parti godono, ma se una di queste scappa con il bottino l’altra resterebbe a mani vuote. Per la gioia di chi in questi anni ha incasellato quadrati su quadrati nelle proprie librerie in salotto per darsi un tono.

Provo a cambiare prospettiva. Se avessi in questi 10 anni acquistato tutti gli album ascoltati, e attualmente nella mia libreria, credo non avrei potuto permettermi nessun’altra spesa extra se non quella dedicata ai dischi. Ma soprattutto, posso affermare con una certezza quasi assoluta, non avrei mai e poi mai scoperto nuove realtà sonore frequentando soltanto forum e mercatini dell’usato o negozi di dischi. È un fatto. E bene o male la scelta sta nello scommettere su quale supporto lasciare la colonna sonora della propria vita ai posteri.

A voi la scelta.