Del domani non v’è certezza.Mai come in questo periodo risulta tremendamente vero. Oggi, dopo un messaggio da parte della location su una data improvvisamente liberatasi, abbiamo colto la palla al balzo e deciso di rimandare il nostro matrimonio a settembre.5 mesi invece di 1 e mezzo. Non so se reputarlo sufficiente o ci ritroveremo ai primi di agosto ancora in piena crisi esistenziale, rinchiusi in casa e con le mascherine appese al porta abiti accanto all’uscio.Chiediamo a gran voce tutti chiarezza. E non è più una speranza, ma la voglia di smettere di sopravvivere sostituendola con quella di vivere, pressoché normalmente, come dice Luca Sofri nel suo post. Aggiungendo, sul finale, delle richieste basilari alle quali oggi tutti vorremmo risposta:

Noi nel mezzo, chiediamo che chi è responsabile della vita delle nostre comunità e della progettazione di percorsi e soluzioni (se si capisse chi è, certo) dica se esiste un modo per attenuare le chiusure e gli isolamenti e quale sia, e come, e quando, e ne valuti fattibilità, rischi e benefici; e comunichi e conduca delle scelte, ovviamente adattabili. È quello che si aspettano le persone di buona volontà. Da un pezzo, a dirla tutta.

Temo però il peggio. Ad oggi nessuno lo sa per davvero come fare, nemmeno chi è al governo, nemmeno chi è stato chiamato a proferire opinione in qualità di esperto, nemmeno quel famoso comitato di scienziati. Ad oggi è tutto un tentativo nella speranza che funzioni.Sono sparite d’un tratto le certezze, le programmazioni, la fisicità della socialità e, come dice Davide, per chi fa un lavoro simile al nostro, anche l’importanza di vivere in una grande metropoli.Sul nostro calendario è rimasta solo una data, quella del 3 maggio. La famosa fase 2 non sarà il nuovo miracolo italiano. Sarà quello che ci farà gioire o lamentare e incazzare ancora. Dipende dai punti di vista, da quale estremo ci sentiamo di appartenere.Sta di fatto che quel “pressoché normale” ha ancora tanta strada davanti prima di prenderci a schiaffi in faccia.