Sempre più vicino

Prendo in prestito le parole di Alessandro. Spesso molto distante dalle mie personali opinioni sul mondo, ma in questo caso in poche righe ha riassunto ciò che ci diciamo con mia moglie ogni giorno praticamente da ormai qualche settimana. Indipendentemente da quale opinione si abbia su tutta questa faccenda, da cosa si pensi del virus stesso e della malattia, sta di fatto che è qui, dietro l’angolo.

Anche a voi il cerchio si stringe? Anche a voi capita che lo stronzo virus sia sempre più vicino, conoscenti amici parenti vicini di casa colleghi? Che sentiate più che a primavera che si avvicina ogni giorno di più? O per caso e sfiga capita solo a me?

È così. Il cerchio si stringe. Non ho nessuna particolare sensazione in merito. I miei affetti sono al sicuro, abbiamo azzerato il contatto sociale se non con quei pochi colleghi di lavoro dai quali sappiamo ormai mantenere le dovute distanze, nella speranza di schivarlo come Neo ha fatto con le pallottole in Matrix.Ogni giorno ci arrivano notizie di amici vicini lontani, parenti, conoscenti colpiti. Per fortuna quasi tutti asintomatici e in salute. La scorsa primavera nessuno della nostra cerchia più prossima. Anche se la virulenza sembra essere molto più lieve e senza particolari conseguenze rispetto a prima, fa un certo effetto lo stesso.In questa notte di Halloween, il virus è il mostro più spaventoso.

Bisogna essere forti

Benché ultimamente mi sia passata la voglia di parlarne, non vuol dire che il problema sia sparito. Prendo in prestito le parole di Giulia su quanto sia assolutamente normale lo stare male in una situazione del genere.

Nel discorso di Giuseppe Conte di domenica c’era una cosa, una scelta lessicale che mi è arrivata dritta allo stomaco: la richiesta al paese di “Essere forte”. Sorvolando su quello che è stato e non è stato fatto per potersi permettere di fare questa richiesta a cuor leggero, mi pare che tanto per cambiare si torni a un concetto di “forza” che è profondamente distruttivo, in cui la malattia mentale, la sofferenza emotiva, la rabbia e il panico devono essere repressi perché la vulnerabilità non è concessa. Essere fragili è un peccato mortale, bisogna essere “forti”, se non sei forte meriti di soccombere. Un’idea muscolare, machista dello stare al mondo: e infatti la questione della salute mentale non entra mai nei discorsi del Presidente del Consiglio. I soldi sì, i sussidi sì, l’economia sì: la salute mentale, no. E la salute mentale, a questo punto, è un problema grosso quanto i mostri nella nebbia. È assurdo, quasi disumano chiederci di essere “forti” quando non conosciamo l’orizzonte temporale delle cose, non possiamo fare piani o progetti e dobbiamo rinunciare a quasi tutto quello che ci fa stare bene. E non è un problema di Conte: nelle domande dei giornalisti, la questione della salute mentale è quasi sempre assente. Stiamo vivendo una condizione di trauma collettivo che rischiamo di trascinarci per generazioni, se non viene riconosciuta e tenuta in considerazione.

Stare male è normale. Lo è sempre stato, ma ora più che mai, e dobbiamo abbandonare l’idea che lottare per stare bene sia obbligatorio. No, gente, stare bene a questo punto è facoltativo. Se non ce la facciamo, se stiamo male, se siamo apatici e tristi perché dopo otto mesi non sappiamo ancora come e se ne usciremo (e l’Italia non è l’unico posto dove le cose vanno ancora male), se siamo depressi e abbiamo bisogno di aiuto, ecco, è normale. Forse questo è il momento di parlare seriamente di salute mentale, oltre che di salute fisica. È il momento di affrontare la paura della nebbia, prima ancora che dei mostri. E non a livello individuale, ma a livello comunitario, con un discorso chiaro che accetti il malessere come parte normale dell’esperienza umana, soprattutto in questo momento straordinario, condiviso in tutto il mondo come neanche le guerre mondiali sono mai state. Stiamo male. Accettiamolo. Abbracciamo il dolore, la stanchezza, l’abulia. Parliamone. Diciamolo agli amici, se non all’analista. Condividiamolo, questo star male. Non ci rende meno, ci ricorda che siamo vivi.

Prova a starmi lontano

Non parlarmi, se puoi, di Covid-19

Finalmente immuni (?)

Si stava meglio prima

Questa nuova normalità non ci sembra più tanto nuova. È come la vecchia ma con una mascherina in più a dividerci.Anzi è peggio, molto peggio.Più distanti, più cattivi, più disumani di prima. Perché oramai se c’è in ballo la propria sicurezza, figuriamoci, apriti cielo.E quindi col piffero che #andràtuttobene. Siamo allo sbando, di regole ce ne sono poche e molto confuse e ogni categoria cerca di difendere il proprio orticello inventandosi le più disparate soluzioni pur di sopravvivere.E come non capirli?Stiamo facendo tutti così.E poi l’app che avrebbe dovuto permetterci di azzerare il contagio? Che fine ha fatto?Questa mattina ascoltavo Radio 24, si citava un’inchiesta del NY Times su un paesino del nord della Germania. Lì hanno riaperto le scuole, considerate le spine dorsali di tutto il Paese. E lì, la prima cosa a cui hanno pensato è un test covid-19 all’ingresso.Se sei positivo torni a casa e ci stai 14 giorni. Per il resto dentro la scuola tutto normale.Chissà se da noi invece di pensare soltanto ai soldi delle TV per far movimentare il circo del calcio si arrivi a pensare anche a qualcosa del genere?Intanto, ci teniamo questa fase 2. Una brutta copia di quella lasciata a fine febbraio e che speravamo di non ritrovare.

La “fase 2” è una schifezza ibrida, né di qua né di là: è la normalità di prima, ma il suo peggio. E non è più nemmeno eccezionale e temporanea, estrema: c’è traffico per strada, è tornata la politica stupida e polemica, i fessi si riscoprono fessi sui social network, e tutto intorno però è tristemente peggiorato.

Nelle prossime puntate

Settimana prossima quasi sicuramente utilizzerò l’auto per la seconda volta dal 10 marzo. Con buona probabilità andrò in ufficio per procedere con il trasloco nei nuovi locali. Una roba di un paio d’ore, ma sarà bello poterci andare, rivedere qualche collega e assaggiare una nuova normalità.Negli ultimi giorni il lavoro si è intensificato, ci stiamo preparando ad un’eventuale, plausibile, apertura il 18 maggio. Sarà sfidante, immagino, ma allo stesso tempo temprante. Un’esperienza dalla quale imparare sicuramente qualcosa.Nel frattempo è scoppiato il caldo, ci siamo rinchiusi in casa a marzo con i cappotti, ne usciremo in costume da bagno praticamente. Oggi o domani ci tocca pertanto il cambio armadi.Continuo con le mie passeggiate in campagna, proviamo a cucinare ricette sempre nuove e diverse e ormai sono veleggio verso i 6 kg persi. Spero di riuscire a mantenermi senza recuperarli di botto una volta ripresa la routine quotidiana.Mi sono dedicato alla lettura, ho terminato Il Colibrì e adesso, dopo aver visto la serie TV Hunters, mi sto dedicando a Caccia alle SS.Il tempo mi sembra essersi fermato. In alcuni casi persino tornato indietro, gli Oasis che pubblicano un singolo, chi consiglia di lasciare il college e dedicarsi alla propria startup, ma più di tutti la sensazione mi è arrivata fortissima passando tutti i giorni davanti l’asilo poco distante casa.

Fase 1 SE

Seconda edizione. Così mi piace chiamarla, perché io dal discorso di ieri ho capito veramente poco, ho colto tanta auto celebrazione — per 20 minuti abbondanti — e pochi passaggi significativi, utili a noi cittadini.Cosa cambia? Poco o nulla in realtà. Perché? Una visione del futuro non c’è, è un andare a tentativi, che ok ci può anche stare all’inizio, ma ora?Prendo in prestito le parole di Luca Sofri:

E potevamo aspettarci qualcosa di diverso? Come notano in questi giorni i commentatori in tutto il mondo, le classi dirigenti prodotte dal populismo e dall’indifferenza alle qualità umane e alle competenze stanno mostrando il loro mediocre valore e la loro inutilità nel momento del bisogno. E quelle prodotte da pigre e codarde reazioni progressiste al populismo, prive di progetti e ambizioni, mostrano al massimo qualche buona intenzione in più, e la stessa inettitudine.

Non potevamo aspettarci niente di diverso. I nodi, il pettine. La crisi non rende “migliori” sul piano delle capacità, della responsabilità, del coraggio, dell’intelligenza, della competenza: al massimo a momenti rende un po’ più buoni — alcuni — e quindi anche più indulgenti con le inadeguatezze altrui in tempi drammatici. Non è colpa loro, oggi: ma lo è stata ieri, loro e nostra, e ora ci teniamo questo, altro che Churchill.Non possiamo fare altrimenti, adesso, e collaboriamo con questo: ma c’è sempre un futuro e magari ricordiamocelo, che persone servono — e che persone non servono — a guidare un paese.

Siamo in guai grossi e il peggio deve ancora arrivare.

Un diario per restare a galla

Benché le mie personali cronache si siano interrotte qualche giorno fa, del resto c’è veramente poco di diverso, di nuovo, da dire, considero l’importanza di occupare il proprio tempo raccontandolo una pratica estremamente importante.Nel numero odierno della newsletter di Good Morning Italia si parla proprio di questo, citando un articolo de The New Yorker:

Senza filtro Il diario è immediato, autentico, senza mediazioni, un “deposito scritto” dei propri pensieri e ha il pregio di non essere indirizzato a qualcuno, di non doversi adattare alle aspettative di un potenziale lettore, di poter spaziare nella scelta degli argomenti e dello stile con cui scrivere. I nostri umori si sfogano nero su bianco, i sentimenti e le emozioni sono messi a fuoco.

Cronache terrestri La vita è l’interesse fondamentale di chi tiene un diario e, attraverso il testo, spesso emerge l’elaborazione degli avvenimenti e delle loro conseguenze più importanti. Scrivere è un modo per fissare insieme, indipendentemente dalle intenzioni, una cronaca dei tempi e una traccia di come siamo in un certo momento. Una traccia che, riletta a distanza di tempo, ci darà la consapevolezza e la misura di un eventuale cambiamento.

E non so se capiti anche a voi, ma mi capita sempre più spesso di voler ricercare blog di altre persone per conoscere la loro storia e come stanno vivendo tutto questo, piuttosto che leggere notizie tutte simili tra loro e spesso in grado di confondere di più di quanto non siamo già.La trovo una giusta “terapia” di gruppo per restare ancorati alla realtà.

Sospesi

Del domani non v’è certezza.Mai come in questo periodo risulta tremendamente vero. Oggi, dopo un messaggio da parte della location su una data improvvisamente liberatasi, abbiamo colto la palla al balzo e deciso di rimandare il nostro matrimonio a settembre.5 mesi invece di 1 e mezzo. Non so se reputarlo sufficiente o ci ritroveremo ai primi di agosto ancora in piena crisi esistenziale, rinchiusi in casa e con le mascherine appese al porta abiti accanto all’uscio.Chiediamo a gran voce tutti chiarezza. E non è più una speranza, ma la voglia di smettere di sopravvivere sostituendola con quella di vivere, pressoché normalmente, come dice Luca Sofri nel suo post. Aggiungendo, sul finale, delle richieste basilari alle quali oggi tutti vorremmo risposta:

Noi nel mezzo, chiediamo che chi è responsabile della vita delle nostre comunità e della progettazione di percorsi e soluzioni (se si capisse chi è, certo) dica se esiste un modo per attenuare le chiusure e gli isolamenti e quale sia, e come, e quando, e ne valuti fattibilità, rischi e benefici; e comunichi e conduca delle scelte, ovviamente adattabili. È quello che si aspettano le persone di buona volontà. Da un pezzo, a dirla tutta.

Temo però il peggio. Ad oggi nessuno lo sa per davvero come fare, nemmeno chi è al governo, nemmeno chi è stato chiamato a proferire opinione in qualità di esperto, nemmeno quel famoso comitato di scienziati. Ad oggi è tutto un tentativo nella speranza che funzioni.Sono sparite d’un tratto le certezze, le programmazioni, la fisicità della socialità e, come dice Davide, per chi fa un lavoro simile al nostro, anche l’importanza di vivere in una grande metropoli.Sul nostro calendario è rimasta solo una data, quella del 3 maggio. La famosa fase 2 non sarà il nuovo miracolo italiano. Sarà quello che ci farà gioire o lamentare e incazzare ancora. Dipende dai punti di vista, da quale estremo ci sentiamo di appartenere.Sta di fatto che quel “pressoché normale” ha ancora tanta strada davanti prima di prenderci a schiaffi in faccia.