Fenomenologia Substack
Un altro weekend di pioggia nel sud della California dopo una settimana di sole splendente. Ormai ci siamo abituati e cerchiamo valide alternative per ammazzare lo stesso il tempo.
Più tardi andremo a scoprire la biblioteca centrale di Los Angeles, domani al museo degli Oscar.
Nel frattempo stamattina mi dedico alla lettura degli arretrati su Feedly. Non amando particolarmente le newsletter e la sensazione di spam che generano nella mia casella di posta, trovo comodissima la funzionalità di Feedly di consentire di leggermele come se fossero feed RSS a cui abbonarmi.
Nell’ultima edizione di Lorenzo ho scoperto Giochetti. Nel riassunto del suo primo anno di attività (dovrò recuperare un po’ di arretrati visto che ci sono tematiche parecchio interessanti) Stefano Besi traccia quella che ai miei occhi appare chiaramente come il piccolo network di appassionati di videogiochi che non ha mai preso la voglia di scrivere.
È quello che si faceva qualche decennio fa con i blog. Ne più ne meno. Si creava una rete, si controlinkava sempre il contenuto degli altri per diffonderne la conoscenza e la rilevanza, ci si parlava spesso addosso, ma era uno dei pochi modi per ampliare il cerchio e tirare dentro altre persone con del contenuto da condividere, con qualcosa da dire insomma.
Non è cambiato niente. O forse è cambiato tutto.
Substack si è sostituita a Blogger e Wordpress. Con pochi click ti sembra di mettere in piedi una newsletter (ovviamente è così), ma in realtà stai facendo molto di più. Stai creando un sito. Stai creando un blog. E ovviamente per tanti significa anche e soprattutto (più che legittimamente) ricavarci del guadagno dal contenuto creato.
La principale differenza con qualche decennio fa sembra essere che l’uniformarsi e sottostare alle regole di una piattaforma centrale è il solo modo per avere un minimo di visibilità e di ritorno sul lavoro svolto senza dover impazzire più di tanto.
Solo che una scelta così radicale porta con se delle conseguenze. Se da un lato vi è la facilità d’uso, un ampio bacino di pubblico a disposizione e l’effettiva possibilità di creare una sottorete di contatti fatta di creator e lettori, c’è anche un importante rovescio della medaglia che non è possibile non ignorare.
Tralasciando i problemi di conduzione politica della piattaforma, nell’utilizzare qualcosa di non proprietario ma di altri, si sta concedendo a questa terza parte in qualche modo il comodato d’uso dei nostri dati o dei nostri contenuti. E a quanto pare non siamo troppo distanti da quel momento.
Comprendo fin troppo bene cosa comporterebbe diventare indipendenti, creare un nuovo spazio ex-novo dove ricominciare sostanzialmente daccapo. Ma con la possibilità di esportare i propri iscritti e continuare a comunicare con loro sinceramente inizierei a pensare a delle alternative valide.
Ed è forse anche per questo che nel momento di decidere su quale piattaforma puntare mi sono guardato bene dal non puntare su Substack. In primis perché io dal blog non ci guadagno nulla e non è mai stata mia intenzione e in secondo luogo, forse la punto focale di tutto questo discorso, ciò che scrivo è e deve restare mio e sotto il mio pieno controllo.
Ci sono fin troppi contenuti eccellenti su Substack che secondo me meriterebbero una sorte migliore che regalarsi a una piattaforma. Le opzioni esistono e seppur possano sembrare complicate non cambierebbero di una virgola l’eccezionalità di quei contenuti. Ma forse è terminato il tempo per gli ideali e di un web libero da padroni, quando sono ormai decenni che siamo schiavi delle piattaforme e abbiamo imparato da tempo a regalargli un pezzetto di noi.