Per pura necessità lavorativa sono tornato con maggior frequenza a visitare X.com dove mi ero ripromesso da tempo di non spenderci più tempo. E invece, tanto del mondo del gaming è ancora lì dentro e ne traggo ancora oggi valore quando si tratta di aggiornamenti e novità.

Inevitabilmente mi sono ritrovato a consumare anche contenuti di altra natura. Che si trattasse della mia squadra del cuore o di qualsiasi altro argomento, l’ormai ex-twitter mi ha dimostrato ancora una volta quanto sia diventato un luogo in cui la violenza verbale e l’attacco alla persona sono il biglietto da visita di tanti leoni da tastiera che probabilmente vedono in questi spazi il vuoto secchio da riempire con il proprio veleno.

Ma che ci vuoi fare, è l’umanità bellezza. È l’umanità che non ha più filtri. È l’umanità che in fin dei conti si dimostra sempre essere per quella che è, social o non social network che sia.

Ho quindi deciso di dare ascolto a questo vortice di negatività, vedere dove mi portasse anche solo per tastare il polso delle conversazioni online.

Mi sono dato 15 giorni da inizio mese. Il test è terminato con una sostanziale, fin troppo banale, verità: è impossibile o quasi avere una conversazione decente online oggi giorno, a meno che lo si faccia in un luoghi ristretti ed estremamente di nicchia.

Ci sono due fattori importanti che entrano in gioco in questa equazione per produrre il risultato a cui sono arrivato e con i quali bisogna necessariamente fare i conti: l’algoritmo e le persone.
Il primo è totalmente arbitrario, in mano alla piattaforma di turno e incomprensibile nel suo modo di premiare o nascondere i contenuti.
Le seconde sono quelle che sono, grette, ignoranti, cattive, piene di risentimento, deboli e fragili e senza un briciolo di rispetto per il prossimo. Siamo noi, mi ci metto dentro anche io, è la nostra natura e quando ne abbiamo la possibilità, senza essere puniti da nessuno per questo, diamo il peggio di noi screditando un altro utente cercando di far prevaricare la nostra voce.

Non importa il contesto, non importa la piattaforma, è quello che siamo.

E allora adesso che ne esco fuori e che torno a scrivere qui senza badare a nessuno, ho deciso di unire i puntini di tanti link salvati in questi ultimi giorni. Qui, sul blog, dove non so chi mi sta leggendo e da dove. È l’antitesi di ciò che i social media sono. Non c’è spazio per la conversazione se non privatamente, non ho distrazioni procuratemi dagli analytics, non temo nessun giudizio e per questo mi posso essere allo stesso tempo più sicuro e più vulnerabile.

Non ho un nemico, se non me stesso e la mia pigrizia a cui parlare. E questo rende il mio pensiero più sereno e costruttivo. A me non è mai interessato monetizzare questo luogo, non è mai interessato camparci, non ho mai aperto a pubblicità o a una newsletter a pagamento proprio per questo motivo. Pubblico di tanto in tanto link dei miei post sui miei account social anche solo per diffondere ciò che scrivo tra chi mi segue, ma senza mai badare troppo al risultato.

Tuttavia c’è qualcuno (grazie Nicola per il link) che da questa operazione ci campa e probabilmente ha deciso di mollare perché non vede risultati o perché semplicemente, secondo me, i social media gli hanno rovinato la bellezza di condividere i propri contenuti in una maniera differente, senza la paura di dover essere per forza scoperto nell’immediato:

I am afraid the methods of organic discovery of good individual blogs and blog posts are failing us. They worked a decade or so back. They don’t anymore. There are just too many good writers out there. With setting up platforms for blogging becoming a lot simpler, the number will only rise.

The thought makes me wonder why I even write anymore in public. Why do I add to the noise that the web is turning (or has already turned) into now?

Oppure c’è chi dipende da un motore di ricerca come Google e viste le recenti novità presentate a Google I/O teme per il futuro di chi ha da anni alimentato proprio quel motore che li ha aiutati ad emergere:

But to everyone who depended even a little bit on web search to have their business discovered, or their blog post read, or their journalism funded, the arrival of AI search bodes ill for the future. Google will now do the Googling for you, and everyone who benefited from humans doing the Googling will very soon need to come up with a Plan B.

Ci stiamo rendendo conto che le trasformazioni degli ultimi due decenni ci hanno resi più soli e solitari nonostante l’iper connettività e l’iper esposizione. Rubando tempo alle nostre idee, educazione e pensiero critico. Stiamo diventando delle bestie e probabilmente tirare il fiato e riflettere su spazi diversi e non di altri potrebbe aiutarci tutti un pochettino:

The always-on, hyper-connected nature of social media and smartphones is stealing our attention and chipping away at our creativity and critical thinking skills, bit by bit. Our brains are rewiring to crave the dopamine hits of likes, shares and endless bite-sized content.

E se nemmeno uno come Manuel ha un’idea di cosa succederà al futuro del web, figuriamoci io. Forse il titolo di questo post avrebbe dovuto contenere un punto di domanda alla fine. Forse non è morto il web nella sua interezza, ma è morta un'idea di web. Quella dello scambio e crescita di idee e opinioni. Di movimenti e di community. Forse il web è ormai soltanto un luogo dove deridere e apparire, forse c'è bisogno di altro. Io continuerò a scrivere qui, forse senza mai farmi trovare o senza mai farmi leggere da qualcuno, ma da qui non me ne andrò mai.