Qualche anno fa scrissi un post dal titolo “A bot made me a mixtape” in cui sostanzialmente mi ritenevo alquanto scettico sul non avere nessun cura dal tocco umano nel vasto mare dei servizi di musica in streaming.

Di fatto, il vero successo di Spotify (ah, a proposito, sapevi che il 13 ottobre esce una mini serie sulla sua fondazione su Netflix) si basa proprio sulla raffinatezza di un algoritmo talmente potente da non aver quasi bisogno di intervento. La cosa mi turba ancora oggi inutile negarlo. Ai tempi infatti utilizzavo esclusivamente Apple Music (oggi celebra 100 milioni di canzoni in piattaforma) che al contrario fa dell’interventismo un suo punto di vanto:

In Apple Music, la selezione umana è alla base di tutto ciò che facciamo: in modi evidenti, come per le playlist curate dalla nostra redazione, e in modi meno evidenti, come il tocco umano che guida i nostri algoritmi alla base dei suggerimenti. Ora più che mai sappiamo che l’investimento nella selezione umana sarà fondamentale per aiutarci a raggiungere l’eccellenza nel modo in cui mettiamo in contatto artisti e pubblico.

Innegabile. Ma poi mi sono imbattuto in questo articolo del Guardian. Ritrovandomi a pensare tutto il contrario. Da quando utilizzo esclusivamente Spotify e il suo algoritmo, soprattutto nella mia Discovery Weekly, ho scoperto nuovi artisti come mai prima. Ammetto che senza questo tipo di affezione nei confronti dei miei gusti musicali mai sarei stato in grado di arrivare a così tanta nuova buona musica. E no, non ci riuscivo con Apple Music fino a due anni fa. Anche se non è stata la ragione per l’averlo abbandonato completamente. Sì perché per quanto ci possano essere schiere di persone a selezionare e ricercare la chicca del momento, nessuno è in grado di conoscerti quanto un codice in grado di comprendere cosa ti piace per davvero. Quale stile ascolti e per quanti minuti al giorno. Consigliarti il nuovo album di un artista mai ascoltato prima solo perché affine ai tanti altri che hai salvato in libreria.

No, lo streaming non sta rendendo più difficile scoprire nuova musica. Sta rendendo forse difficile scoprirne fuori dalla nostra zona di comfort. Ma va benissimo così. A me di ascoltare il prossimo candidato agli Emmy per la musica pop interessa davvero poco. Soprattutto non scopro nuova musica su TikTok perciò per i quasi ‘anta come me Spotify resta un alleato essenziale per evitare di arenarsi nei vari Best Rock Songs Of All Time o Hard Rock Party.

Ad ogni modo, mantengo in vita in questo momento due playlist a mio uso e consumo personale, ma con le quali mi diverto molto. La prima si chiama Next Up.

Tendenzialmente funziona come una Story di Instagram. Non appena terminato l’ascolto quella canzone o quell’album sparisce dalla Playlist. C’è sempre e solo musica appena pubblicata.

La seconda invece si chiama SOUNDSGOOD.

Qui invece sto curando — in piena contraddizione con quanto appena scritto ovviamente — una playlist dei brani che amo di più. Ma siccome ho una memoria pessima e mi dimentico i titoli ho bisogno di molto tempo per lavorarci e completarla, ma man mano sarà sempre più ricca.

Se vi va, seguitele. Ci troverete solo buona musica hard-rock, alt-rock o indie-rock. 🎸