Con Francesca abbiamo iniziato a discutere su Facebook del film e di tutti gli argomenti che gli girano attorno.Francesca De Nard è una mia cara amica, è un medico specializzando, e credo sia la persona più appassionata di cinema di genere e di cinema horror che io conosca.La migliore cosa che potessi fare, visto che non ho ancora visto il film in questione, è stata quella di concederle tutto lo spazio necessario per scriverne. Le ho chiesto così se volesse essere ospite sul blog.Per iniziare bene il 2015, troverete le sue riflessioni su The Interview di seguito. Grazie Francesca!

L’anno 2014 verrà ricordato come l’anno dei leak. Ma leak de che? Le tette di Jennifer Lawrence, i nomignoli razzistelli appioppati a Obama, le canzoni di Lana del Rey pubblicate con anni di anticipo.. insomma siamo tutti costernati. Un po’ perché siamo a fine anno, un po’ per le ripercussioni diplomatiche, sicuramente ricorderemo The Interview come il caso più stressante in assoluto.Riassumendo: Sony produce un lungometraggio, scritto e diretto da Rogen e Goldberg. Questa la sinossi: un giovane anchorman in carriera (Franco) che mette in scena la peggior forma di giornalismo-spazzatura (un po’ alla Barbara d’Urso per intenderci) e il suo produttore (Rogen) vengono invitati nella residenza del leader nordcoreano Kim Jong-Un (Park) per registrare un’intervista. La CIA ne approfitta per invitarli ad assassinarlo.Ad un mese dal lancio del film (previsto per il 25 dicembre negli States) Sony subisce un attacco dal gruppo di hacker che si fa conoscere come Guardians of Peace; i leak riguardano diverse produzioni ma viene fatto da subito un riferimento specifico a The Interview. Il tempo passa e a una settimana circa dal lancio, Sony, senza consultare alcun governo e senza che le venga imposto, decide di cancellare il film. Motivazione ufficiale: ordine pubblico (riporto le testuali parole degli hacker: ‘ricordate l’11 settembre’). A seguire, anche la CIA rilascia un comunicato ufficiale in cui ammette possibili legami tra gli hacker e il governo di Pyongyang. Il giorno successivo Obama dichiara ‘sbagliata’ la scelta della Sony e usa toni molto più cauti, senza accusare esplicitamente la Corea del Nord, che nega ogni coinvolgimento anche se definisce ‘giusta’ l’azione degli hacker.A questo punto il mondo dei social si scatena; è già il momento di notare che la retorica sottostante a questo tipo di indignazione è fortemente pro-americana. Franco e Rogen sono due eroi; gli Stati Uniti sono portatori di libertà; gli Stati Uniti non si fanno piegare dalle minacce dei terroristi asiatici (a questo punto val la pena di ricordare che Sony è una società giapponese, e che gli autori del film sono canadesi). La Stampa internazionale parla (correttamente) di oltraggio alla libertà di espressione e presto quello di The Interview diventa un caso senza precedenti. I toni però sono sempre quelli della guerra fredda mediatica. Anonymous dichiara: Sony, vi avevamo avvertiti, hackerare i vostri database è un gioco da ragazzi. Tra gli esperti di informatica molti scettici ritengono quasi impossibile il coinvolgimento del governo nordcoreano nell’attacco, ritenendo più probabile che la causa dei leak risieda in un disordine interno all’azienda, probabilmente una vendetta personale. Paulo Coelho (che tutti conoscerete grazie a wikiquotes) si propone di acquistare i diritti del film ad un prezzo irrisorio (100.000 dollari) per poi pubblicarlo su Netflix a disposizione, gratuita, del pubblico di tutto il mondo.Sony, già fortemente danneggiata dall’attacco degli hacker (Business Insider stima perdite di 100 milioni di dollari tra indagini, migliorie tecnologiche e licenziamenti) non è in condizione di poter accettare l’offerta di questo figlio dei fiori e decide di tentare il tutto per tutto sfruttando, tra le altre cose, l’enorme notorietà che la pellicola nel frattempo ha raggiunto. La vigilia di Natale arriva la notizia dell’imminente uscita del film in un numero limitato di sale indipendenti (331, a fronte delle 3.000 previste originariamente) e della sua pubblicazione on demand su diverse piattaforme online, novità assoluta per una grande produzione cinematografica. Il film nelle sale non guadagna una cippa (2,8 milioni), ma online è subito record mondiale: 15 milioni di dollari nel solo week-end di Natale. Ecco quindi il clamoroso retro-front della Stampa (e sui social): terrorismo, dicevano, e invece è tutto marketing! Oltretutto per un film di merda! E noi che abbiamo sprecato tutto questo inchiostro pensando fosse un film impegnato. Insomma, un’epidemia di nannimorettite (un’infezione senza dubbio gastrointestinale) sotto Natale, non riesco a immaginare niente di più terrificante. Piovono anche i ‘ve l’avevo detto’ da parte dei finora astenutisi dal commentare, scagliandosi contro l’umanità come delle piaghe bibliche.Alcune rapide considerazioni su ciò che riporta la Stampa italiana. Per quanto riguarda gli articoli pubblicati dai principali quotidiani, penso sia il caso di fare alcune premesse che cercherò di schematizzare.

  1. Nessun giornalista sembra conoscere i lavori precedenti della coppia Franco/Rogen
  2. Il film non è ancora stato distribuito in lingua italiana; il più delle volte è esplicitato (e anche quando non lo è è ragionevole supporlo) che la persona che scrive non ha visto il film, ma riporta un riassunto di un’accurata (e orientata) selezione di recensioni scritte in lingua inglese

Quindi, visto e considerato che chi scrive non sa di cosa sta parlando, tra questi chi ha l’ambizione di riportare un giudizio sul film (Repubblica, Il Fatto Quotidiano, e diversi rotocalchi di moda che evito di elencare) lo stronca, definendolo puerile, volgare, semplicistico, nemmeno troppo divertente (parafrasando, ironia della sorte, una delle mail dei produttori pubblicata a seguito del leak). La motivazione principale della bocciatura è comunque il fatto che i contenuti non sarebbero all’altezza della bufera mediatica che si è scatenata attorno alla pellicola. Alcuni si spingono a definirlo ‘deludente’ per gli spettatori americani, rifacendosi ai dati di un sondaggio che se ho capito bene si è svolto in questo modo: hanno chiesto agli spettatori se secondo loro il film suscitava sentimenti di patriottismo o meno. Io forse non sono un giornalista, ma in tutte queste considerazioni non scorgo la minima valutazione tecnica o artistica di un prodotto che andrebbe preso come tale. E se penso a un cinema che debba suscitare patriottismo, mi viene in mente Goebbels.Concludo con l’ultima della grandi critiche mosse dalla Stampa (e dai social) al film: è stata tutta un’operazione di marketing, questo sarà il film più scaricato di tutti i tempi. Furbi vero? Ma a chi pensano di darla a bere? Non certo a noi, noi siamo dei dritti! Quindi tutti quelli che si sono scatenati sui social hanno fatto una pubblicità inconsapevole! Che tristezza.Ecco, peccato che non sia così semplice. E’ vero, Sony ha fatto da sé, ed è vero, in soli 4 giorni The Interview è stato il film più scaricato della storia. Ma si tratta anche di una modalità di distribuzione finora riservata ai film indipendenti, e non è stimabile in maniera certa quanti saranno gli incassi alla fine (anche se le previsioni sono ottime: secondo Mojo box office 90 milioni di dollari). Quando una persona paga per un film in streaming, magari lo si guarda in 10. Se paga per il download (modalità che ha prevalso nettamente in questo caso), possiamo potenzialmente moltiplicare all’infinito le visualizzazioni. E non ho parlato della pirateria. Mi limiterò solo a dire che il film è già disponibile sottotitolato ed in ottima qualità. Quindi, dato che tutti gli infervorati dalla sacra fiamma del patriottismo verosimilmente hanno già comprato il film, io ipotizzo che una volta affievolita l’ondata emotiva le vendite crolleranno (iTunes o non iTunes). 18 milioni di dollari in un week-end sono comunque meno dei 20 incassati da Notte al museo 3, un’altra commedia demenziale negli stessi giorni. 20 milioni che riuscì a incassare in un week end anche Facciamola finita, il precedente film della premiata ditta, che non fu nemmeno lanciato sotto Natale (e raggiunse i 100 milioni di incasso totale, superando anche la migliore delle previsioni del suo fratellino minore). 20 milioni di incasso erano l’obiettivo di Sony, e non è stato raggiunto. E The Interview deve arrivare a 75 milioni solo per starci dentro coi costi (44 di produzione e il resto in promozione). Se sommiamo i 100 milioni di debito della Sony siamo ben lontani dall’obbiettivo e comunque, con tutta questa pubblicità negativa, sarà ancora più difficile. Se è stata una mossa di marketing da parte di Sony, con tutto il rispetto finora ha fatto schifo.

Sembra piuttosto una strategia di salvataggio dell’ultimo secondo, un piano B, o forse anche un tentativo di sperimentare una nuova strategia di marketing, che anche secondo gli esperti di finanza si è dimostrato fallimentare, sia in senso assoluto che relativamente al fatto che per altri film non si potrebbero ricreare in futuro le condizioni di amplificazione mediatica che si sono verificate per The Interview. Sicuramente, in definitiva, Sony non ha agito da paladino della libertà di espressione (l’occasione ce l’ha avuta con l’offerta di Coelho), e si è dimostrata coerente con la propria linea guidata dal profitto. Il piano A è stato sabotato dalla paura di ulteriori leak; le minacce terroristiche probabilmente non ci sono mai state, oppure sono sempre state considerate di scarsa rilevanza; probabilmente non lo sapremo mai. Ma non è che qualcuno adesso ha interesse a fare pubblicità negativa e la Stampa improvvisamente asseconda questo qualcuno? Qui i sillogismi si incastrano uno dentro l’altro come delle matrioske, mamma mia che mal di testa. Ma meno male che noi siamo nati furbi e ci arriviamo subito alle conclusioni giuste.Qui ad averci davvero guadagnato (in notorietà), senza aver bisogno di fare calcoli, sono gli autori del film, fino a ieri semisconosciuti al di fuori degli Stati Uniti. Quindi avremmo fatto ‘inconsapevolmente’ della pubblicità a degli artisti, che magari ci piacciono. Senza peraltro comportare nessun guadagno superiore a loro carico (erano stati già pagati), se non la fama, e quindi la possibilità di produrre in futuro altri film. Triste, vero? Ed è anche ridicolo che siano i giornalisti stessi, i principali fautori della diffusione iniziale della notizia, ad accusare l’ondata di indignazione dei social.Ma ora veniamo ai santi protettori del cinema moderno, gli unici su cui in generale fare affidamento: le riviste cinematografiche online. Ecco, qui mi sono impegnata tantissimo, ma non ho trovato nulla. Evidentemente si attende l’uscita nelle sale italiane, prevista per il 22 gennaio 2015. Nessuno si prende la responsabilità di dire che lo ha già visto. Gli unici sono gli eroi di Badtaste.it, che peraltro conoscono bene i lavori della coppia Rogen/Franco, che hanno visto il film e udite udite ne parlano bene. Il film sarebbe ‘di certo la commedia più seria e adulta per Rogen e di converso quella in cui Franco dà il suo meglio’. Sono anche gli unici che mettono a confronto i numeri per quello che sono, evitando ogni complottismo. Ma quindi ho capito bene? Tutti ne parlano pessimamente ma l’unico che l’ha visto ha scritto una buona recensione?Ma adesso veniamo alla parte attiva: la mia recensione (con qualche spoiler necessario).Premetto che ho visto il film. Sicuramente con questi presupposti alla base (vedi sopra) non si può che restare almeno un pochino delusi, ma penso sia fisiologico. Nel complesso l’ho trovata un’ottima commedia, perfettamente allineata alle ottime commedie precedentemente proposte dalla premiata ditta, e mi riferisco a Facciamola finita e Strafumati in particolare. Si tratta di una commedia demenziale, pertanto non ritengo che sia troppo volgare rispetto ai canoni di genere. Soprattutto considerando in che modo tali standard di genere vengono ulteriormente trivializzati nelle produzioni italiane (sovvenzionate dallo Stato e vergognosamente pubblicizzate dagli stessi giornalisti che scrivono di cui sopra), trovo piuttosto sconvolgente che qualcuno in Italia abbia potuto scrivere che questa commedia è volgare. Il film è nel complesso meno divertente rispetto ai precedenti, ma è scritto e interpretato meglio e la produzione è di livello superiore. Il coraggio iniziale (cioè quello di fare un film di satira) gli autori ce l’hanno avuto, ma poi hanno volato molto basso, decidendo di non mostrare affatto la politica nordcoreana ma concentrandosi solo sull’assoluta ridicolizzazione del personaggio di Kim Jong-Un. Una scelta deludente per chi si aspettava un docufilm (per queste persone evidentemente il concetto di commedia demenziale non è chiaro, ed è altresì evidente che non hanno visto né il trailer né nessuno dei filmati promozionali disponibili già da un mese sul tubo), ma assolutamente comprensibile visti il tenore leggero e il registro compagnone dell’intero lungometraggio.Come ulteriore elemento di delusione, anche la retorica bene/male tanto promossa sui social qui non funziona affatto: ci troviamo all’interno di un triangolo isoscele ai vertici del quale troviamo Kim Jong-Un, un giovane dittatore imbecille afflitto dal complesso di Edipo; Starlark, un giovane anchorman imbecille afflitto dal complesso di Edipo; e Rapaport, un producer che sognava di fare del giornalismo vero e invece, deriso dai suoi ex compagni di corso, finisce a occuparsi di TV spazzatura e a lavorare con e per imbecilli. E’ proprio qui secondo me che si è creata la frattura con la Stampa. Si è tanto parlato di Stati Uniti ma alla fine nessuno aveva considerato che questo film è stato scritto da due canadesi, uno dei quali interpreta anche l’unico personaggio del film che abbia del sale in zucca. Non dobbiamo stupirci se il pubblico americano ha considerato il film ‘poco patriottico’: la satira prende di mira in egual misura sia gli americani che Kim Jong-Un (ma è molto più onesta e realistica nel prendere di mira gli Stati Uniti, riducendo il personaggio del dittatore ai minimi termini caricaturali), e a questo proposito bisogna sottolineare quanto l’interpretazione di James Franco sia straordinaria. Franco sembra scemo meglio di chiunque altro (suggerisco di vedere l’intervista promozionale a Orlando Bloom, disponibile sul tubo: Franco riesce a portare avanti da solo un monologo di 5 minuti, verosimilmente improvvisato, di fronte a un Orlando che trattiene a stento le risate, su un argomento ridicolo, e quando l’attore britannico cerca di parlare delle sue iniziative umanitarie, la risposta, sublime, del suo interlocutore è ‘I’m sorry Orlando.. I think we’ve run out of time..’), al punto tale che da rendersi quasi antipatico, soprattutto quando elimina il dittatore nordcoreno. E questo agli americani non è piaciuto affatto. Finché si scherza sulla sessualità di un rapper va tutto bene (anche come volgarità), ma qui l’ironia comincia a diventare più sottile, oh ma non è che questo qui ci sta prendendo per il culo? Il personaggio di Park è funzionale alla contrapposizione a quello di Franco, non c’è una caricatura personalizzata di Kim Jong-Un. I due personaggi sono speculari; entrambi rappresentano l’Uomo moderno, ignorante, insicuro, terrorizzato dalla necessità di soffocare la propria omosessualità latente; ma questi sono gli aspetti poco interessanti della sceneggiatura.Il protagonista vero e proprio qui è Seth Rogen che, come giustamente gli fa notare un fan nella scena in aeroporto all’inizio di Facciamola finita (‘Amico, quello è Seth Rogen! Hey Seth, quand’è che la finisci di interpretare sempre lo stesso personaggio?’), interpreta se stesso. Ma questa volta meglio. Seth non è più lo sbandato che sotto sotto è un bravo ragazzo; è uno sbandato bravo ma con delle aspirazioni artistiche. E questo funziona a tutti i possibili livelli di lettura, rispondendo alla matrioska mediatica con un efficace gioco di specchi. Rapaport è il producer che cerca di esercitare buon giornalismo con l’arma impropria della TV spazzatura, così come fa Rogen come sceneggiatore-regista utilizzando il genere comico-demenziale. Tutti gli elementi poi verificatisi nella realtà erano già stati scritti da Rogen e Goldberg in fase di scenaggiatura: la diffidenza della Stampa ufficiale, le elevate aspettative del governo, la delusione delle aspettative con il raggiungimento di un traguardo diverso ma ugualmente efficace. Il film parla di due artisti che trattano un argomento serio con un registro scurrile, vengono criticati dalla stampa e dagli ‘haters’ per questo ma alla fine raggiungono il risultato sperato. Ricorda qualcosa? Niente di più facile, se sono proprio il sistema produttivo e quello dei media che vuoi prendere di mira. E i fatti dimostrano che è possibile sollevare un polverone mediatico anche con un film comico-demenziale che fa battute stupide, così come nel film è possibile demolire un dittatore canticchiando una canzone di Katy Perry. Sicuramente gli autori non potevano prevedere che l’effetto si sarebbe amplificato sino a tal punto, e per questo devono sicuramente ringraziare i loro fan. Io non credo che tutto si possa tradurre in una vittoria/pubblicità della Sony, che merita peraltro il boicottaggio per quello che ha fatto già in partenza, senza doverne analizzare il comportamento successivo; penso che si possa parlare di una vittoria totale degli autori, che sono stati pagati per un lavoro, hanno potuto vedere distribuito il proprio film nonostante le minacce degli hacker (o di chi per loro), sono stati anche difesi (per un po’) dagli stessi soggetti che volevano ridicolizzare, hanno potuto platealmente ridicolizzarli in mondo visione. Per poi essere criticati quando ormai era troppo tardi. Qui andiamo ben oltre i 15 minuti di celebrità teorizzati da Warhol.Da parte mia, sono contenta di aver diffuso materiale relativo al film (che peraltro avrei visto comunque) e di aver promosso petizioni, col solo scopo di salvaguardare la libertà di espressione di autori che già conosco e apprezzo in merito a un film che mi ha dato esattamente quello che mi aspettavo, accusando Sony per quello che ha fatto fin da subito. Se anche le minacce dei terroristi fossero state vere, a cancellare il film è stata (per finta) Sony, non i terroristi né il governo di Pyongyang. La censura va sempre attaccata, qualunque sia il motivo che la porta in essere. E se mai produrrò qualcosa di mio, spero di ricevere lo stesso trattamento che il pubblico dei social, nel bene e nel male, ha riservato a Franco e Rogen, senza dover arrivare alle tette come la Lawrence.

Per riassumere, questo film offre esattamente quello che promette, ovvero una satira leggera e una comicità demenziale, e la offre con una qualità complessiva che non sempre viene raggiunta di questi tempi nella commedia americana e che certamente in Italia non ci possiamo nemmeno sognare. I contenuti politici sono molto limitati, ma evidentemente preclari anche al pubblico cui sono diretti, in maniera diametralmente opposta rispetto al genere documentaristico, esoterico per definizione, ma che accontenta tanto i critici (e anche me, perlamordiddio). Niente di nuovo, ma il risultato finale è piuttosto buono, pur non essendo la miglior commedia della Storia. Il film mi è piaciuto (e per quanto quest’osservazione sia statisticamente irrilevante eravamo in 5 ed è piaciuto a tutti); continuerò a considerare i film di Rogen e Golberg una scommessa sicura di divertimento, e Franco un ottimo attore comico. E visto che tutto era stato già previsto, ritengo che non sia nemmeno il caso di spremersi le meningi per concludere con una frase d’effetto, poiché è già stata scritta in un dialogo del film (vado a memoria):

Skylark — They hate us cause they’re jeallous. They hate us cause they ain’t us!

Rapaport — What you mean? They hate us cause their ANUS?

Skylark: They HATE us cause they AIN’T us. Haters gonna hate; ain’ters gonna ain’t.