Dopo la morte di FriendFeed, da oltre 15 anni Twitter è il mio social d’adozione. Quello in cui mi sono sempre sentito a mio agio, dove ho intrattenuto e intrattengo ancora conversazioni interessanti, dove ho costruito parte della mia carriera, dove arricchisco alcuni aspetti della mia cultura personale e mi informo su tutta una serie di argomenti.

Sì, ok. Mastodon è l’alternativa libera, non guidata da algoritmi, senza pubblicità e con poche semplici regole stabilite da chi quel server l’ha aperto e lo sta mantenendo. Ma non è per tutti, la stragrande maggioranza delle persone fa e farà fatica ad utilizzarlo e tornerà ad utilizzare Twitter come ha sempre fatto. Come dice Seth:

It’s inconvenient. You can’t get started in ten seconds. This leads to less initial stickiness. It means that the people who get through the learning curve are more likely to be committed and perhaps generous.

Questo fenomeno di rimbalzo ha portato addirittura ad aumentare l’utilizzo di Twitter come non succedeva da anni. Non è ancora certo la “everything-app” auspicata da Musk, ma sicuramente il social che più utilizzo e quella senza la quale difficilmente riesco a stare per troppe ore, benché prettamente testuale, nonostante la pubblicità, nonostante dei pazzi algoritmi a governare la timeline.

Ora, siccome, come detto, mi sta particolarmente a cuore, mi scoccia alquanto vedere come il suo nuovo proprietario stia trasformando quel luogo di lavoro e spazio di conversazione in un ambiente tossico. Il tutto in nome della libertà di parola. Ma da semplice osservatore della storia dei media e delle loro evoluzioni, spero di non assistere al collasso totale di Twitter e nel frattempo assisto con particolare attenzione quanto sta accadendo questi giorni con i fantomatici Twitter Files.

Musk ha chiesto a due giornalisti indipendenti di studiare migliaia di conversazioni provenienti dalle piattaforme di comunicazione interna di Twitter per stabilire o meno se la libertà di parola sia stata rispettata in alcuni frangenti che hanno segnato la recente storia politica americana. Come il ban di Donald Trump dalla piattaforma (a cui si aggiunge la storia di un terzo giornalista), o il ban di esponenti della destra in grado di influenzare l’andamento delle ultime elezioni, o ancora l’applicazione di filtri sul poter amplificare o meno un certo tipo di contenuti quando apertamente sia il vecchio CEO sia la piattaforma stessa hanno spesso dichiarato di non attuare questo tipo di politiche.

Non sta a me giudicare, i link sono riportarti per poterti fare la tua opinione sulla cosa. Osservo che è un po’ il segreto di pulcinella. Non sapere che piattaforme come Twitter possano indirizzare un certo tipo di contenuti, se si lascia la timeline in mano al loro algoritmo, è un po’ scoprire l’acqua calda. Si evince, però, dalle conversazioni riportate un team eterogeneo, in seria difficoltà nel prendere alcune decisioni e che prima di farlo attraversa varie fasi di analisi di non poco conto.

Non so dire dove porterà questa sbirciatina dietro le quinte, non so dire se è solo la punta dell’iceberg o il tentativo partigiano di Musk di dimostrare un qualche tipo di censura nei confronti di una certa parte politica. Resta lampante una cosa: l’estrema difficoltà nell’attuare politiche di moderazione su larga scala, allenare l’IA di qualsiasi piattaforma nell’attuarle è tremendamente complesso perché ogni situazione fa storia a se. Non vorrei mai essere nei panni di chi deve prendere questo tipo di decisioni, soprattutto su una piattaforma pubblica in grado di influenzare i pensieri e le azioni di milioni di persone.