Una traccia della mia esistenza

Ultimamente da più fronti mi è stata posta la medesima domanda. La fatica, il tempo, i contenuti spesi qui dentro hanno un valore? Hanno un ritorno? Ti servono o ti sono mai serviti in qualche modo?

La risposta è affermativa. Senza il mio blog non sarei quello che sono oggi, non avrei avuto le opportunità di carriera e crescita che nel corso degli anni mi si sono parate davanti, ma soprattutto non avrei mai e poi mai potuto entrare in contatto con un estensivo numero di persone dalle quali ho cercato di portarmi "a casa" qualcosa.

In fin dei conti i miei post, le mie riflessioni, la condivisione dei miei personali punti di vista sono soprattutto un esercizio privato. Un mio spazio per allineare i flussi interni e fare pace con il mondo, senza cercare l'approvazione di nessuno o con l'idea di far cambiare opinione a qualcuno, quanto piuttosto connettermi con chi ha voglia di fare altrettanto. Non scendo nell'arena dei gladiatori per combattermi il tempo di nessuno.

I'm just not that interested in trying to pull anyone into agreement. To realign their poles. To spin them around and point them in my direction. If it happens, that's a bonus, but it's not what I'm aiming for.

I don't want to sell someone something they're reluctant to buy. I'm not interested in trying to grease grinding gears. I'm more interested in meshing with those who are excited to come along.

I like it when they're already there with me. The words, the phrasing, the tone, and the rhythm just helps them synchronize their head nods with mine. And then we connect.

E quindi? Lo scopo di tutto questo?

Because in the end, I'm really just writing to myself. Trying to find my own satisfaction in describing how I feel and what I want. And if we want the same thing, all the better.

Intangibile

E poi riflettevo su quanto l'attaccamento fisico, morboso e d'amore nei confronti di un brand dipenda tutto da qualcosa di intangibile.

Il brand sparisce, i suoi prodotti spariscono, resta solo il percepito. Le sensazioni rilasciate dal nostro cervello accostate a quella particolare marca sono per lo più inspiegabili se chieste a bruciapelo.

Tuttavia sappiamo benissimo di cosa si tratta. È lo spazio d'azione che quella marca ha deciso di presidiare, il suo purpose. E ne ha fatto la propria ragione di vita, al di là dei profitti, al di là delle opinioni divisive in grado di generare.

Delle azioni tangibili che permettono di far dimenticare ciò che quella azienda commercializza, ma segnano un solco profondo con ciò che è in grado di comunicare, stabilendo un set di valori nei quali non solo crede, ma con essi riesce influenzare la vita delle persone.

Sostenibilità ambientale, parità di genere o di razza, equiparazione degli stipendi, il ridare al territorio in cui opera, l'evitare lo sfruttamento delle popolazioni in via di sviluppo...

Potrei andare avanti per molti paragrafi. Di fatto c'è un denominatore comune: occupare lo spazio di intersezione tra la vita, il luogo e il tessuto sociale in cui opera lasciandoli meglio di come li hanno trovati.

Solo così nasce e perdura un lovermark.

Continuerò a non guardare il Festival di Sanremo

Benché sia estremamente felice per la vittoria dei Måneskin - non tanto perché siano loro quanto tali, ma perché finalmente una canzone rock sia arrivata prima e non una pop/trap/finta hip hop - proseguirò serenamente nella mia personalissima tradizione di voler estraniarmi per una settimana dal word of mouth italico fatto di polemicucce sterili e analisi logica del politically correct, vestiti e comportamenti su un palco calcato da chi cerca di emergere.

Perché? Molto semplice. In parte prendo in prestito le parole di Rivista Studio:

Anche se potrebbe sembrare che abbiamo tutto il tempo del mondo, in realtà non riusciamo più ad aspettare, non abbiamo tempo (o voglia) di ascoltare 26 canzoni più quelle degli ospiti, ancora di più se non ci piacciono, subire i siparietti e i tempi morti, l’ennesimo monologo che offenderà qualcuno o l’ospite che dipingerà le donne come un quadretto stinto e sempre troppo retorico.

Vogliamo sapere chi vince, vogliamo passare alla canzone successiva, guardare il telefono mentre c’è la pubblicità. Uno spettacolo così lungo e così ricco, sicuramente costruito per ridurre il comprensibile horror vacui ha forse avuto l’effetto opposto: quello dell’eccesso per chi lo seguiva da casa. Tutto troppo.

Mi sembra sempre di ascoltare canzoni tutte troppo simili l'una dall'altra, benché arrivino alle mie orecchie con qualche giorno o settimana di ritardo, assisto al perenne ritardo degli artisti di casa nostra nel voler proporre uno stile che arriva da altri Paesi, una brutta copia riadattata di qualcosa di originale creato altrove e per altri pubblici. E così subiamo da anni l'onda lunga del pop prima, poi del rap e infine dell'indie, mentre altrove sono già mentalmente da tutta altra parte.

Forse è anche per questo che di musica italiana ne ascolto e apprezzo davvero proprio poca. E ancora di più mi sono stupito di vedere vincere una band di ragazzi lontani musicalmente dalle classifiche nostrane, forse la prolungata presenza di Manuel Agnelli a X-Factor e la fondazione di ben 2 emittenti rock in Italia nel giro di 15 anni stanno facendo apprezzare anche altri generi musicali al grande pubblico?

Oppure al televoto c'erano soltanto i loro fan e le mamme di quest'ultimi?

Hey, World

HEY, un nuovo servizio di posta elettronica creato dai fondatori di Basecamp, debutta oggi con un "nuovo" servizio di blog che permette di pubblicare direttamente dalla casella di posta: HEY World.

Come funziona?

Vi ricordate di Posterous? Ecco. Il funzionamento è pressoché identico. Sottoscrivi un abbonamento a HEY (99$/anno), scrivi un'email a world@hey.com e il gioco è fatto. Ecco il tuo nuovo blog.

I Pro

Privo di JavaScript e di qualsiasi ninnolo di codice, risulta essere una pubblicazione molto snella e veloce che al momento permette l'inserimento soltanto di immagini, testo e ipertesto.

Basta fare una rapida ricerca su Twitter per capire al volo come ci sia una frenetica corsa all'oro nella creazione di nuovi luoghi in cui scrivere. Un po' come avvenne per Medium, ma con le dovute differenze che elencherò nei contro qui sotto.

Quale il punto di forza? Sicuramente la semplicità e le velocità di utilizzo. Componi una email, scrivi, invia e il gioco è fatto. Si interseca tra i rivoli di un thread twitter facilmente dispersivo, un blog personale e una newsletter del quale il sistema è dotato nativamente.

I Contro

Ci sono un paio di punti a sfavore nell'utilizzo di questo servizio. In primis l'indirizzo email stesso. Una volta creato il blog tutti avranno la medesima URL:

Once you write your first HEY World email, you’ll get a “world.hey.com/you” page (with the “/you” part being the same as the beginning of your @hey.com email address)

Ciò significa che chiunque verrà a conoscenza del tuo indirizzo email personale in tempo zero. Ok, con i dovuti filtri si può bloccare facilmente qualsiasi scocciatore, ma si può capire bene quale possa essere il risultato sul lungo termine nell'esporre pubblicamente il proprio indirizzo email.

Il secondo aspetto, almeno per me non indifferente, è la personalizzazione. I blog sono tutti identici, a parte l'icona e il nome nella parte iniziale, sono irriconoscibili l'uno dall'altro. Ok, il contenuto dovrebbe fare la differenza, ma i primi millisecondi devo capire con chi sto interloquendo. Un po' come accadeva con Medium, costretta da qualche mese a dover aggiungere la possibilità di cambiare font o sfondo. Vi lascio qualche esempio per rendere l'idea.

Quale il punto debole? Senza una vera personalizzazione, senza l'embed di contenuti di terze parti, senza la possibilità di commentare, senza la possibilità di poter esportare il mio contenutoal momento non so dire quanto il mercato possa premiare una soluzione del genere. Posterous è deceduto dopo pochi anni, e pagare 99$ per un blog "mozzato" ha al momento davvero poco senso.

Pochi secondi per dirmi chi sei

Dopo qualche settimana di totale disinteresse, da un paio di sere sfrutto i 30 minuti di macchina che mi separano da casa per lurkare nelle stanze di Clubhouse.

Il più delle volte capito in stanze in cui si parla di marketing e comunicazione, ascolto a fondo, cerco di carpire concetti a me avulsi e sconosciuti, imparare. Tant'è non ci sono mai dissertazioni sui massimi sistemi, ma esperienze pratiche di tutti i giorni, e mi conforta sapere di intraprendere strade condivise su quanto faccio quotidianamente nel mio lavoro. Le stanze sono animate però sempre dalle stesse persone, parlano sempre loro e ormai ogni stanza è così: i vecchi famosi del web, sono i nuovi famosi di Clubhouse.

Il paradosso di un social in cui si dovrebbe dar voce a tutti, in realtà sta dando voce a pochi e sempre agli stessi.

Ieri sera poi in una stanza c'era un giochino, presentare il proprio brand di fronte al pubblico in ascolto. Il loro giudizio avrebbe preso poi pieghe che non sono oggetto del mio post. Ma questo esercizio mi ha fatto subito pensare alla pratica dell'elevator pitch. Raccontare cosa fa la tua azienda in 5 minuti. Ero lì lì per alzare la mano e farmi avanti, ma mi sono fermato. Ho pensato che il brand per il quale lavoro merita più di 5 minuti di esposizione. Merita un contesto.

Stamattina leggevo il post di Jason Fried, CEO di Basecamp proprio su questo argomento:

Now, play out some realistic scenarios. When have you ever had to explain your whole business in 20 seconds to someone who was truly motivated to understand what you do? Certainly, there are plenty of times when you are forced to bullet-point your vision to someone who really doesn’t care, like a distant relative or a cab driver. But those who are genuinely curious about your business are willing to listen. It shouldn’t take 10 minutes to explain it, but you don’t need to jam your entire narrative into a couple of quick breaths. The rush of time is a false constraint.

For me, context matters. Relying on a one-size-fits-all description of your business means missing an opportunity to engage people rather than just speak at them. Instead of blasting out your script, first show that you’re curious about your audience. Ask them about themselves, what they do, what they struggle with.

Non credo serva aggiungere altro.

Fluxes. Puntata 15.

+ Finalmente dopo oltre due mesi sono riuscito a sistemare grafica e velocità del blog così come l'ho sempre desiderato. Riuscito...Oddio, ho affidato il compito a uno sviluppatore russo tramite upwork.com. Super affidabile e puntuale. Per il risultato, beh giudicate voi.

Come ha fatto? Semplicemente riscrivendo da zero il tema partendo dall'ultimo realizzato da Automattic, il Twenty Twenty-One, e da lì ottimizzandolo con l'eliminazione di tutte le cose superflue.

+ La sera sto alternando la lettura con il test della riproduzione da remoto della mia Xbox Series X tramite iPad Pro. In buona sostanza, una volta aumentate le performance anche della rete domestica interna e collegando un controller al mio iPad e attraverso l'app Xbox posso tranquillamente giocare a qualsiasi gioco direttamente sdraiato nel letto grazie alla funzionalità Remote Play. Qualità fantastica e risultato ancora più entusiasmante. Ora vorrei capire se questo controller che ho appena ordinato su Amazon funzioni davvero in modo da risolvere anche come appoggiare l'iPad ed evitare di utilizzare la Folio cover.

+ Già. La lettura. Mia moglie mi ha regalato un libro che avevo in lista Amazon non so più da quanti anni. Un libro di cui non sapevo nulla, ma per via del titolo non potevo lasciarlo scappare.
Sono circa a metà di "Panino al prosciutto" di Bukowski. Ne sto apprezzando lo stile arido, asciutto, privo di qualsiasi fronzolo e il fatto che sia scritto come da un bambino delle elementari. Non vedo l'ora di tornare a casa per leggere qualche pagina, una sensazione che non provavo da tanto.

Un anno fa, oggi

Iniziavamo a parlare di una strana forma di influenza chiamata COVID-19.

Un anno dopo, per la prima volta dopo tanti mesi, ho ricominciato a sentire le sirene delle ambulanze dietro casa.

E nonostante la diffusione dei vaccini prodotti in tempi record e 365 giorni di sconvolgimenti di ogni aspetto della nostra vita, sembra ancora lontanissimo il giorno in cui potremo riprendere in mano le nostre vite senza paura.

Restiamo ancora in attesa.

Spotify HiFi

Con Spotify HiFi arriva l'audio di alta qualità.

Da un paio di settimane ho iniziato a testare Tidal e Qobuz. Ho sempre voluto tirare fuori il meglio da le mie Sony MDR-1000X e il mini ampli PHA-3, che seppur vecchiotte sanno ancora distinguere una buona compressione da una deteriorata.

Ho cancellato entrambi gli abbonamenti dopo una settimana, ben prima il termine del periodo di prova. Purtroppo hanno un catalogo azzoppato e facendo un trasferimento alla pari con Soundiiz mi sono accorto di perdere moltissimo contenuto rispetto a Spotify.

Spotify, già. Mi sono definitivamente "accomodato" su Spotify dall'anno scorso, e cioè da quando si ha la possibilità di salvare infiniti album e canzoni sulla propria libreria. E da quel giorno ho disperatamente sentito il bisogno di aumentare la qualità di ciò che ascoltavo. Nonostante abbia settato come "Molto alta" la qualità dell'audio, la differenza con Apple Music esiste e il mio orecchio la percepisce.

Durante la diretta dell'evento Spotify Stream On, tra gli altri annunci, secondo me c'è stato quello più sensazionale e forse il più atteso dagli utilizzatori che dal servizio di streaming musicale più diffuso sul pianeta si aspettavano da tempo l'introduzione di un tier di alta qualità: Spotify HiFi.

Spotify HiFiwill deliver music in CD-quality, lossless audio format to your device andSpotify Connect-enabled speakers, which means fans will be able to experience more depth and clarity while enjoying their favorite tracks.

Ubiquity is at the core of everything we do atSpotify, and we’re working with some of the world’s biggest speaker manufacturers to makeSpotify HiFiaccessible to as many fans as possible throughSpotify Connect.

HiFiwill be coupled withSpotify’sseamless user experience, building on our commitment to make sure users can listen to the music they love in the way they want to enjoy it.

Spotify HiFiwill begin rolling out in select markets later this year, and we will have more details to share soon.

Da notare come si parli di mercati selezionati, quindi non è assolutamente detto che arrivi in Italia come mercato di lancio.

Ci sono due aspetti da sottolineare rispetto a questo importantissimo annuncio.

  1. Spotify "ruba" sotto il naso di Apple Billie Eilish, recente protagonista di un documentario proprio su Apple TV+, proprio per annunciare assieme al fratello le potenzialità e la necessità di un audio di alta qualità nell'ascolto di produzioni più o meno complesse.
  2. La seconda. Chi si ricorda la qualità del suono di un CD? Oggi sono in pochi e sono ancora meno quelli che ne possiedono un lettore e ci ascoltano sopra della musica. L'iPod ha rivoluzionato il mondo della musica ma ha contribuito alla bassa risoluzione, forse è giunto il momento di fare marcia indietro.

Perché le webcam fanno schifo?

Any affordable webcam (even at the high end of affordability, $100+), uses inadequate and typically years-old hardware backed by mediocre software that literally makes you look bad. You might not notice this if you’re using video software that makes your own image small, but it will be obvious to other people on the call

Un bel post del blog di Camo, un'app che trasforma il tuo iPhone in una webcam, che spiega il perché e il percome le webcam facciano schifo (con prova sul campo) e perché il vostro telefono riesce a fare molto meglio.

Non conoscevo l'app, l'ho installata e funziona anche su Windows e non solo su Mac. Niente male.

Quale futuro per Stadia?

Difficile a dirsi a questo punto. Dopo l'annuncio a sorpresa di settimana scorsa chi si occupa di videogiochi si sta domandando la stessa cosa.

Google Stadia avrà un futuro?

L'approccio di Google ai suoi prodotti è alquanto bizzarro. A parte lo zoccolo duro (GMail, Drive e Suite in generale), da quando ha chiuso Google Reader è partito il trend "esercizio di stile". Lanciare sul mercato servizi, spesso anche utili, e poi abbandonarli al loro destino fino a chiuderli completamente. Lasciando così i suoi utenti non solo incazzati, ma anche con la briga di doversi trovare delle alternative che facciano le medesime cose.

Per fortuna con Stadia non sarà così. Nel senso che, al di là dello streaming, non ha avuto mai esclusive (e a questo punto mai le avrà) tali per cui non si possano giocare gli stessi giochi altrove. Durante gli scorsi mesi ho avuto modo di testare a fondo Stadia e rispetto alla prima recensione mi sono dovuto ricredere, soprattutto nella sua incarnazione mobile, sempre fluida e senza intoppi. Ha avuto un bello slancio poi con l'uscita Cyberpunk 2077, a detta di tanti la versione migliore dopo quella PC, e davvero non mi capacito come non Google non abbia sfruttato a dovere questo trampolino. Abbandonando se stessa ad avere soltanto titoli di terze parti.

Creating best-in-class games from the ground up takes many years and significant investment, and the cost is going up exponentially. Given our focus on building on the proven technology of Stadia as well as deepening our business partnerships, we’ve decided that we will not be investing further in bringing exclusive content from our internal development team SG&E, beyond any near-term planned games

I costi. Già, i costi. Sviluppare titoli AAA richiede dei team di sviluppo con i controcazzi, ma soprattutto di tanti soldi a disposizione (The Last of Us 2 è costato oltre 100M $). E non che Google non ne abbia, ma una divisione deve essere autosufficiente e deve avere un'entrata fissa e costante e sicuramente un abbonamento e la marginalità su titoli multipiattaforma non è sufficiente per ripagare la realizzazione di nuove produzioni ad hoc.

Microsoft dal canto suo riesce a fare ciò che Google non può. Ha già un track record in questo settore di oltre 20 anni, ha deciso di assimilare innanzi tutto team di sviluppo esterni invece di crearne da zero interamente, e con la propria console ha le entrate necessarie per mantenere viva e vegeta una divisione molto complessa come quella di Xbox. Inoltre la sua tecnologia streaming è già molto matura, xCloud l'ha dimostrato ampiamente, e benché non si possano giocare tutti i giochi in possesso dell'utente nella propria libreria, la mia sensazione è che Microsoft punti a quell'obiettivo.

Stadia avrà vita breve. Senza delle esclusive e con una tecnologia facilmente replicabile da altri player non ci sarà un futuro molto lungo. Amazon sta per approdare nel settore con un modello simile a quello di Google con Amazon Luna, anche se creare un videogioco originale non è proprio una passeggiata, Sony e Microsoft sono già lì e GeForce Now non sta a guardare.

La battaglia per un nuovo streaming è iniziata.