Clubhouse

Ho perso una settimana dietro alla sistemazione della grafica del blog. Ci sono riuscito dopo essermi affidato nell'ordine a un pakistano, un indiano e alla fine un russo che mi ha risolto ogni problema (grazie Upwork!). Nel frattempo è esploso Clubhouse.

Non sto a spiegarvi cos'è, perché se non lo sapete a questo punto, vuol dire che non state guardando un mezzo di informazione, appunto, almeno da una settimana. Ma se proprio ti si piazza davanti un punto di domanda di dimensioni cubitali, allora ti lascio qui qualche opinione interessante da cui recuperare le informazioni salienti (1, 2, 3, 4, 5, 6).

Ora, cosa aggiungere rispetto a quanto già scritto in questa settimana? Ecco, giusto un paio di cose. Perché in questa settimana di silenzio qui sul blog ho ascoltato tanto. Sì, su Clubhouse.

Clubhouse non è così nuovo, ha già un anno di test alle spalle e ha avuto la sua esplosione a partire da gennaio. Qui una chart molto interessante, dove come sempre la barra degli early adopter si impenna fino a che arriva il personaggio famoso di turno.

Fonte:

Vajresh Balaji

E qui in Italia non è stato da meno. Come sempre ci siamo ritrovati, sempre gli stessi early adopter che nel 2007 erano su Twitter per primi o ancora prima su FriendFeed e poi su Instagram e poi tutti gli altri nel mezzo.

Su Clubhouse succedono due cose fondamentali:

  • Si abbattono i gradi di separazione
  • Non c'è uno più importante di un altro utente

Mi spiego meglio. Un paio di giorni fa al risveglio mi sono ritrovato in una stanza con Rosario Fiorello e Mario Calabresi a discutere del più e del meno con persone totalmente sconosciute, mentre facevo colazione ascoltavo Biagio Antonacci raccontare aneddoti musicali con domande aperte da chiunque e non è difficile entrare in stanze con anche personaggi d'oltre oceano come Elon Musk o Mark Zuckerberg.

E poi? Chiusa la stanza, sparisce tutto. È un palinsesto di tantissimi programmi radio creati dal basso e all'interno dei quali c'è un fattore comune, la partecipazione. Hai qualcosa da dire? Ti prenoti e il moderatore ti fa partecipare. Finito? Ti muti e attendi il tuo turno.

Considerazioni

I toni, anche grazie alla moderazione, resteranno secondo me sempre gentili ed educati, la vera difficoltà crescente, man mano che gli iscritti aumenteranno sarà quella di discernere stanze interessanti da contenuti cazzari. Quest'ultimi sulla rampa di lancio da ormai qualche giorno.

Perché ora? Clubhouse esplode ora perché la stragrande maggioranza della popolazione è a casa. Punto. Il tempo è la maggiore discriminante in assoluto per poter essere qualcuno di riconoscibile su Clubhouse. E mi sono sempre domandato come mai durante gli orari di ufficio, mentre cercavo di smaltire le notifiche da cui ero inondato, ci fosse così tanta gente e che in fin dei conti fosse sempre la stessa da ore e ore.

A casa chi ti controlla? Come qualcuno si è giustamente domandato, come è possibile passare così tante ore se al contempo si ha un lavoro a tempo pieno? Giusta osservazione, ma se si aggiunge l'elemento home working, bingo.

Intimità e voce. Ok c'è Discord, ok ci sono i vocali di Twitter. Ma Clubhouse è il primo Social Network che ha deciso di basare la sua fortuna completamente sulla voce, pur accostandola a un'immagine, ma soprattutto a un nome e cognome del profilo. E cosa vuol dire questo? La partecipazione difficilmente può essere anonima, ma soprattutto con una platea di altre persone ad ascoltare, dire una cazzata e sputtanarsi equivale praticamente a sputtanarsi per sempre. Perché? Per il contenuto e i toni. La voce è estremamente più intima e caratterizzante rispetto a un post scritto e chi la sa usare bene ha già un vantaggio estremo. Di fatti la maggior parte di chi avvia una stanza vedo essere uno speaker radiofonico.

E quindi? L'età media tende ad essere alta. Non perché chi è giovane non possa essere ricco in contenuti, ma piuttosto se sei uno che rifugge TikTok proprio per i contenuti capirai cosa intendo. Non puoi editare o cancellare quello che hai detto, verrai ricordato per questo e forse potrebbe pregiudicare la volontà di partecipare a una discussione da parte dei più timidi o timorosi.

Personalmente sono uno di essi. Non amo particolarmente ascoltare la mia voce, ma proverò a imbastire qualcosa riguardo al mondo dei videogiochi. Magari facendo risorgere il brand Fuorigio.co, perché no...

Al momento non so dove, chi anima le stanze italiane, riesca a trovare tutto questo tempo libero e due conclusioni le ho tratte. Ha un potenziale enorme, immaginatevi un TED partecipativo, e sarà interessante capire come e se mai Clubhouse riuscirà a monetizzare attraverso la voce. Per il momento mi auguro non diventi l'ennesimo social invaso da contenuti spazzatura, ma credo che forse proprio grazie alla voce, riesca ad essere una bolla in cui emergeranno quelli che avranno davvero qualcosa da dire.

Mi trovate con l'account @contz e ho ancora qualche invito disponibile se necessario.

Le piccole vittorie quotidiane non condivise

E poi? Poi sono partito per la tangente, ed ho pensato a chissà quante persone si trovano tra le mani altre piccole incomprensibili vittorie che non potranno mai essere condivise. Piccoli successi che finiranno nel dimenticatoio. Piccole storie non rivelabili. Che rimarranno piccole e sconosciute solo perché nessuno le potrà capire ma che sono lì, innumerevoli, splendenti. E se guardi bene, forse potrai distinguerle.

Dietro un lampo nello sguardo della cassiera del supermercato; nell’esclamazione inaspettata del netturbino; in un sorriso davanti a una vetrina. Una moltitudine di lacrime nella pioggia, di storie non raccontate, che travolge e ti fa sentire insignificante ma legato a un’umanità che va avanti, giorno dopo giorno.

Windows XP, le sfide impossibili e le lacrime nella pioggia – Bluebabbler (wordpress.com)

WordPress, eccomi.

Ho cantato vittoria troppo presto. Convinto com'ero di aver trovato finalmente pace su Medium e sulla sua indiscutibile facilità di pubblicazione.

Eppure.

Eppure i problemi sono iniziati quando alcuni di voi mi hanno segnalato l'impossibilità di leggere alcuni articoli perché fermati dal messaggio di paywall di Medium stesso. Nonostante avessi settato il tutto come assolutamente gratuito.

Mi sono ritrovato quindi a fare un triplo salto carpiato, decidere se tornare a Squarespace, oppure dare un'ultima opportunità a WordPress.

Ho provato su sollecitazione di Nicola quest'ultima piattaforma da cui mi sono tenuto lontano per 14 anni! In un paio di sere ho importato tutti i post "salvati" dalla precedente migrazione, sistemato il layout e CSS, ma soprattutto controllato uno a uno i 270 e passa post sistemando URLs, gallerie immagini, categorie e tags.

Una faticaccia. Ma ora ci siamo. Non cambierò mai più piattaforma in vita mia.

Quindi once and for all:

  • https://gwtf.it è attivo e mappa correttamente tutte le pagine
  • Il feed RSS è necessariamente cambiato
  • Siete liberi di insultarmi nei commenti :)

Red Zone

Il podcast di Francesca Baraghini

Seguo sin dagli albori il lavoro di Francesca, che ho avuto il piacere di incontrare anche in un tour alla redazione della Gazzetta dello Sport di tanti anni fa, e mi fa molto piacere “ritrovarla” nel suo nuovo podcast — Red Zone — dove mette in campo le sue competenze giornalistiche per unire i tasselli del puzzle di questo pazzo mondo.Un nuovo supporto su comprendere meglio le complessità del presente.

20 anni di blog

Questo ricordo di averlo notato molto presto, perché in quel periodo scrivevo su qualche rivistina e la differenza mi saltava agli occhi. Non c’è nulla che si aggrappa alla memoria come la grafica di una vecchia rivista che nel frattempo ha fatto quattro restyling ed è irriconoscibile.

Ecco coi blog non è così; ogni volta che cambi la grafica, anche i vecchi pezzi vengono riformattati con quella nuova. Succede qualcosa di simile ai nostri ricordi, credo; è quello che li rende così poco attendibili rispetto ai documenti tangibili, le foto e le vecchie riviste.

Se avessi almeno salvato qualche screenshot, ma no, niente, mi vergognavo a pensare che ne sarebbe valsa la pena. Da un punto di vista meramente estetico no, non valeva la pena.

Il blog di Leonardo compie 20 anni. Sorrido al pensiero che in questo post celebrativo parli soprattutto della veste grafica, di cui gli è importato veramente poco nel corso del tempo, rispetto al vero cuore del suo blog: i contenuti.

Lunga vita RSS Feed

Reasons Why I Love My RSSFeeds

  1. Everything is in chronological order.
  2. I can skip over articles I’m not interested in.
  3. I can mark all articles read if I wish.
  4. The only stuff that is hidden is the stuff that I want hidden. (I use filters in Inoreader for this.)
  5. If I want to reread something, I just select All Articles instead of Unread Articles and scroll back to find it.
  6. There’s nothing else between posts — no adverts, no suggestions, nothing.
  7. Readability view means that I can read articles the way I want to, rather than the way a web-designer wants me to.
  8. If I want to move to a different RSS service, I can export my feeds as an OPML file and use that elsewhere.
  9. I can share links to articles however I wish.
  10. My attention is under my control, not controlled by others.

Paterson

Mi sono ri-abbonato al NY Times. 2 euro al mese. Una sciocchezza se confrontato con il paywall e la spazzatura di alcuni quotidiani online italiani. Tra i primi articoli letti c’è stato quello sui migliori film consigliati su Amazon Prime Video.

Abbiamo iniziato ieri sera guardando Paterson.Sulle prime mi è rimasto solo un grosso punto di domanda stampato in faccia, dopo alcuni minuti ho unito i puntini. Come fa John Williams in Stoner, ti accorgi quanto sia complicato raccontare la quotidianità e farla diventare interessante, porre gli accenti sulle giuste piccole cose da cui trarre il significato del tutto.È un film elogio alla poesia, all’arte di creare, all’ispirazione ordinata proveniente da schemi di cui il film è pieno (l’ordinarietà delle giornate, alla creatività della moglie di Paterson, Laura, intrisa di simmetrie geometriche), così come al disordine creativo disseminato nella quotidianità di tutti pronto per essere ordinato in qualsiasi forma espressiva l’artista è intenzionato a personalizzarlo.Vi invito a leggervi anche la recensione proprio del Times, da cui riporto la citazione qui di seguito, perfetta per arricchire l’angolazione giusta dalla quale guardare e interpretare quanto appena visto.A me è piaciuto molto, soprattutto perché è intriso di argomentazioni umanistiche su cui amo riflettere. Una su tutte: Paterson vive alla stra-grande senza bisogno di avere un cellulare. Con i suoi libri e le sue creazioni.★★★☆

A similar progression – from the basic to the rhapsodic, the material to the transcendent – happens in “Paterson” as days pass, details accumulate, and words turn into poetry, one line at a time. Things happen to Paterson – he has a rough Friday and Saturday, though a better Sunday – but Mr. Jarmusch doesn’t turn problems into drama. Life is enough. Instead, with visual precision and emotional restraint – and aided by Mr. Driver’s tamped-down, sober and gently endearing performance – Mr. Jarmusch creates that rarest portrait of the artist: the one who’s happy being hard at work.

Review: In Jim Jarmusch’s ‘Paterson,’ a Meditative Flow of Words Into Poetry - The New York Times (nytimes.com)

Caro futuro me, ti scrivo

Il servizio FutureMe e come ricordarsi di ricordare.

Nella mia interminabile lista di difetti posiziono ai primi posti la smemoratezza. O meglio, sono affetto da memoria selettiva. Mi rendo conto di ricordami solo ciò che la mia mente ha deciso, per i fatti suoi ovviamente, di ritenere importante immagazzinare per buttare via tutto il resto.Come se fosse un hard disk costantemente pieno che debba fare spazio a cose più importanti, eliminando i file meno utilizzati e i ricordi mai aperti.

Photo by Fredy Jacob on Unsplash

Per darvi l’idea, quando mia moglie si è trasferita da me qualche anno fa abbiamo razionalizzato gli spazi occupati selvaggiamente come qualsiasi altro uomo single in casa propria farebbe. Ancora oggi vado a cercare gli oggetti dove li avevo sistemati originariamente 10 anni fa e non nella loro nuova ubicazione che dura ormai da quasi tre anni.Se mi chiedi cosa ho mangiato 3 giorni fa non me lo ricordo, se mi sforzo di ricordare il nome di qualcuno non ne parliamo, ma cosa peggiore quando dimentico di fare qualcosa di estremamente importante a cui ho pensato mentalmente con tanta intensità fino a pochi minuti prima.Negli anni ho ovviato con svariate soluzioni. Al lavoro si traduce in appuntarmi qualsiasi cosa mi debba ricordare, ho la scrivania invasa di post-it con la to-do list imminente.Mentre nella vita di tutti i giorni il calendario del telefono è il mio piccolo aiutante di babbo natale. Per i compleanni imposto le notifiche molto presto al mattino così da avere su schermo appena mi sveglio, per altre cose ho adottato un approccio più soft con l’esatto minuto in cui devo ricordarmi quella particolare azione.Insomma, bene o male sopravvivo e non manco mai nessun appuntamento. Questa premessa è stata utile per raccontarvi di FutureMe. Si tratta di una piattaforma di messaggistica che permette di inviare email a 1, 3 o 5 anni di distanza oppure una data qualsiasi a piacimento. È un servizio datato, del quale avevo scordato l’esistenza. Salvo ricevere oggi un’email che mi ricordava di compilare la mia annuale lettera al mio futuro me.Ho fatto log-in con le credenziali salvate su 1Password e il suggerimento del mio browser mi ha fatto presagire di averlo già utilizzato. Entrato mi sono trovato davanti ciò che sospettavo, esattamente 1 anno fa ho inviato un’email al mio futuro me e che riceverò tra 4 anni. Ho tentato invano di provare a leggere quanto scritto, ma so solo di aver composto 34 parole.

Sono minuti che penso a cosa io abbia potuto scrivere a me stesso, in 34 parole immagino non molto. La sola cosa in cui la mia memoria è stata utile è il ricordo che questo tipo di servizio non è nuovo, è un’idea scopiazzata da uno spot di Google Chrome di qualche anno fa riproposto qui sotto. Quindi FutureMe non fa nulla di originale, se non postporre un’email a te stesso. Un friendly reminder. Per ricorare a te stesso che non ricordi un cazzo.

Meglio condividere o soddisfare Google?

So, why did blogging evolve into endless essays? Why did the humble link post die out on most sites? Why are people scared to share great links in simple ways on their sites? Why did the generalists with good taste mostly disappear to social media? Why did we lose the spirit of 1996?

Most writers started writing to please the search engines (later just one search engine). To feed the beast, more “original” content was needed. The sharing moved to social media and got lost with the ephemera. Writers burned out producing longer and longer posts for ad pennies over trust and community.

Forse mi sono spostato su Medium anche per questo motivo. Cercare di fare “Rete” e non nel senso di Grillo e del M5S, ma fare rete per condividere idee, pensieri e riflessioni.La vera natura dei blog così come li abbiamo imparati a conoscere, almeno qui in Italia dal 2000 in avanti.Come scrivevo un paio di giorni fa, non mi importa più badare al contorno, ma al sodo, al contenuto, e per farlo ho bisogno delle idee del mondo, di altre persone che mi aiutino a riflettere e far prendere forma al mio pensiero, riversandolo qui dentro.Il più delle volte sono blog, ne sono affamato, ne sono in costante ricerca per arricchire il mio feed reader di contenuti in grado di accendere la mia scintilla. Ultimamente è sempre più raro, ma per fortuna sono in tanti a non mollare la presa. A scrivere per sé stessi e per lettori immaginari, evitando di badare troppo alla posizione SERP.

Come salvare spazio su Xbox Series X|S

Con questo trucco si libera spazio dall’SSD e si continua a giocare

Sulla coda lunga dei trick che nessuno conosce e nemmeno Microsoft esplicita apertamente (vedi il post sul controller Xbox di Lorenzo), oggi sono a parlarvi di come salvare spazio sulla vostra Xbox Series X o Xbox Series S.Così come per PlayStation 5, anche le nuove ammiraglie di casa Microsoft montano un nuovissimo e sfavillante disco SSD ma con pochissimo spazio disponibile. Parliamo di poco più di 600GB per Series X e quasi 400GB per Series S.Un bel problema, soprattutto se iscritti a Game Pass e si ha voglia di giocare a tanti giochi contemporaneamente. I giochi di ultima generazione, quelli che hanno il logo X|S in basso a sinistra sulla vostra dashboard, la maggioranza delle volte necessitano di risiedere nella memoria interna o sulla Seagate Expansion Card della vostra console. Questo perché pronti a sfruttare tutte le potenzialità grafiche e del disco, ma soprattutto ottimizzati al meglio per le architetture delle due nuove arrivate.Tuttavia ci sono dei giochi che benché riportino X|S sull’icona gioco e quindi ottimizzati per le nuove console, sono stati sviluppati per girare bene anche su Xbox One, Xbox One X e Xbox One S. Questi ultimi possono essere spostati tranquillamente anche su un hard disk esterno collegato alla vostra nuova console tramite una delle porte USB.

Come fare a riconoscere i giochi che possono essere avviati su hard disk?

Se nella terza riga c’è scritto Durango, allora quel gioco può essere avviato su un qualsiasi HDD esterno collegato via USB. Un esempio pratico è quello di Halo: MCC, un gioco di oltre 100GB che può risiedere ed essere giocato su un hard disk esterno senza nessun tipo di problema.

La mia è tecnica è tenere su disco interno e sulla Seagate i giochi che sto giocando attualmente, mentre su HDD tutti quei giochi “Durango” più tutti quelli che ho in backlog e che prima o poi vorrò giocare. Una volta finiti i primi, sposto gli ultimi internamente così da velocizzare anche le operazioni di caricamento.Come organizzate le vostre memorie interne?