Wolfenstein: The New Order. ACHTUNG! ACHTUNG!

Quando decisi di recensire Wolfenstein: The New Order mi accorsi immediatamente di due cose.

  • La prima: Non prendevo in mano un puro sparatutto da troppo tempo.
  • La seconda: Le innumerevoli partite giocata a Wolfenstein 3D sul mio 486 oramai oltre 15 anni fa.

Medium? Qualche volta. La blogosfera non è più personale

Lei — il film

Arrivo tardi, forse troppo, complice l’assenza di Internet a casa a parlare di Lei/Her il film di Spike Jonze uscito il 13 marzo qui in Italia. Devo ammettere di aver avuto tantissime aspettative fin da quando l’anno passato ho visto il primo trailer apparire in Rete.Lei/Her è il racconto di un uomo solo, non solitario, ma un nerd molto simile a Leonard Hofstadter di “The Big Bang Theory”. Un mix di nerdismo e dolcezza con l’incapacità di ricucire i cocci del proprio cuore spezzato da un matrimonio fallito alle spalle.Un blocco troppo grande da poter gestire in un rapporto con una persona fisica. Allora il protagonista, Theodore, decide di avvicinarsi ad un nuovo prodotto tecnologico in una Los Angeles futuristica. Ue sistema operativo, un’intelligenza artificiale in grado di apprendere e interagire con lui come se fosse una persona vera avendo esperienza del mondo attraverso la telecamera del suo smartphone e un’auricolare dal design minimalista all’orecchio.Purtroppo ho visto la versione italiana del film, mentre nella versione originale la voce di Samantha, il nome dell’AI scelto da Theodore, è interpretata dalla sensuale Scarlett Johansson.[embed]https://youtu.be/pHSPor3VZ9E\[/embed\]Ci troviamo di fronte insomma una Los Angeles dove le macchine non hanno preso il sopravvento come in Terminator, ma si sono integrate per migliorare la vita dell’uomo non solo a livello funzionale e di commodity. Sono tasselli necessari per sopravvivere.Lei fa riflettere tanto sulla condizione di solitudine degli uomini di questo secolo, focalizzandosi non tanto sulla pericolosità di cosa potrà essere la tecnologia tra qualche decennio, quanto la pericolosa deriva dello smettere di avere rapporti profondi con una persona in carne ed ossa.Tuttavia la tecnologia potrebbe esserne essa stessa sia la risposta che la concausa, ciò non toglie il nostro bisogno primordiale di condivere con un altro essere umano questa pazzia chiamata amore.Ho letto tanti spunti e opinioni diverse sul film, cercando di trovare più interpretazioni che recensioni che non si limitassero a ribadire la banalità: è un film che racconta il rapporto tra un uomo e un’intelligenza artificiale. Ero interessato a comprenderne i significati intrinsechi. Un paio in particolare mi hanno colpito. Entrambi si focalizzano su il pensiero di Samantha non tanto come sistema operativo diventato un partner con cui condividere una vita, ma piuttosto uno specchio che in modo speculare indirizza i bisogni di Theodore. Il primo su Medium:

Samantha is Theodore’s reflection, a true mirror. […] She becomes needy in ways that Theodore is loath to address because he has no idea what to do about them. They are, in fact, his own needs. The software gives a voice to Theodore’s unconscious. His inability to converse with it is his return to an earlier point of departure for the emotional island he created during the decline of his marriage.

Mi sono trovato subito d’accordo. La voce di Samantha dà forma e trova la rapida risposta alla deriva emozionale nella quale è finito il protagonista. Allo stesso modo il secondo articolo trovato sull’argomento:

The voice of Samantha, the operating system, performed by Scarlett Johansson, sound very, very much like a real person. On the other hand, her role has, in the beginning, an appropriate ring of ingratiation: Samantha has been designed to anticipate the needs (technical, psychological, and emotional) of her user. Samantha giggles at Theodore’s jokes while making herself useful by sorting his email.

Purtroppo non ricordo le parole precise del film italiano, ma all’inizio del film il protagonista dice queste parole:

Sometimes I think I have felt everything I’m ever gonna feel. And from here on out, I’m not gonna feel anything new. Just lesser versions of what I’ve already felt.

Qui mi sono un attimo paralizzato sulla poltrona del cinema. Una frase spesso ripetuta più volte nel mio cervello e adesso riproposta sul grande schermo. Una percezione aumentata di se stessi piuttosto che un malessere. Un’analisi molto precisa e accurata di Jonze rispetto alla disperata ricerca di qualcosa in grado di stupirci ancora. Ancora una volta la tecnologia nella sua doppia natura distruttrice e risolutrice.Il regista fa un percorso molto ampio per permettere a Theodore di comprendere che non esiste macchina più complessa di quella umana e che i suoi bisogni, speranze e desideri sarebbero stati compresi soltanto da qualcuno in carne ed ossa.Non ho apprezzato molto la chiusura affrettata e l’eliminazione dell’intelligenza artificiale Samantha in stile The Matrix con un ritorno a una città delle macchine. Ho invece molto apprezzato il girato della scena finale con i frame conclusivi di due corpi umani così vicini e così lontani, ma i soli a potersi dar pace vicendevolmente.

In Lei/Her ci sono anche tante altre cose molto belle e curate. A partire dal design futuristico, ma soprattutto minimalista in grado di trasmettere un ampio senso di pace e tranquillità, tratteggiando i contorni di una Los Angeles senza auto, ma piuttosto vivibile soltanto con mezzi pubblici e i propri piedi.Qui la mappa interattiva delle location utilizzate.La fotografia e la scelta di colori pastello, il rosso su tutti, rende l’atmosfera del film sempre molto simmetrica ed equilibrata. Predominante la sobrietà e la voglia di semplificare.A questo proposito vi consiglio la lettura su The Verge dello studio grafico dietro il sistema operativo e come sono state scelte le location del film, ovviamente su LA Times.E ultima, ma non ultima la colonna sonora curata interamente dagli Arcade Fire. Qui da ascoltare nella sua interezza.Da Lei/Her è stato tratto anche un piccolo progetto collaterale all’interno della raccolta “The Creators Project” un’iniziativa di Storytelling tra Intel (non nuova a cose del genere) e Vice Magazine.Un breve girato nel quale è stato chiesto ad attori e creativi di dare la loro definizione di Amore nei tempi nei quali stiamo vivendo. Il risultato è il seguente e merita di essere visto.Un ultimo tassello a rimarcare il messaggio più cristallino di tutti di questo film. Condividere un sentimento, sia esso con altri umani o con una macchina (qui uno spunto filosofico del Times), è una cosa potente e il più delle volte incontrollabile. Ed è bellissimo.

Noi stessi, anonimi

A marzo scorso parlavo di come online ci identifichiamo per ciò che condividiamo, tema ripreso anche da Luca poco tempo dopo, affermando come fosse l’anonimato a renderci davvero liberi di esprimere la vera natura delle nostre idee.Tra le rispose ai commenti avevo aggiunto:

Il concetto è semplice, l’app accede alla tua lista contatti, da qui in maniera totalmente anonima viene chiesto di condividere qualsiasi pensiero ci passi per la testa in maniera totalmente anonima. Il network di contatti, dopo un limite iniziale a quelli personali, inizierà ad espandersi.L’idea alla base di tutto: una volta “divorziato” dalla propria identità, si dovrebbe essere maggiormente propensi e aperti a condividere qualsiasi cosa. Eliminando le inibizioni a condividere così ciò che realmente si pensa.App del genere ne esistono già, ma Secret premia però il pensiero e i commenti condivisi piuttosto che l’utente ad aver lanciato il thread.Tra le news tecnologiche di questa mattina leggo di una nuova applicazione per iOS in rapida crescita in termini di utilizzo negli Stati Uniti: Secret.Il concetto è semplice, l’app accede alla tua lista contatti, da qui in maniera totalmente anonima viene chiesto di condividere qualsiasi pensiero ci passi per la testa in maniera totalmente anonima. Il network di contatti, dopo un limite iniziale a quelli personali, inizierà ad espandersi.Sono curioso di provarla quando arriverà qui in Italia, se mai ci arriverà. Mi interessa capire se l’anonimato facilita contenuti maggiormente stimolanti perché privi di quel senso di giudizio che spesso ci blocca dal postare sui social network attuali. Oppure si limiterà ad essere un ricettacolo di troll.Ad ogni modo come dice MG Siegler, i social network si stanno specializzando, frastagliando in tante piccole realtà in grado di fare meglio di qualunque altro quel particolare servizio. Facebook non basta più, oppure è troppo perché fa poco di tutto. Dal calderone con dentro qualsiasi cosa abbiamo bisogno del piatto di qualità sempre più spesso.…E infatti qualche ora dopo, arriva la notizia di un possibile anonimato anche su Facebook…

Com’era quel detto sui lupi?

Perdono il pelo, ma non il vizio. Perché la droga in grado di dare più assuefazione di tutte sono i soldi e smettere di averne, farne e produrne è un’equazione impossibile per il lupo di Wall Street.Probabilmente questa è la migliore interpretazione di Leonardo di Caprio di sempre. Pur essendomi forse perduto soltanto The Beach trai suoi film, posso dire che l’intensità e la perfetta immersione nel personaggio fanno di The Wolf of Wall Street uno dei suoi masterpiece.La mano del regista c’è e si fa sentire. Probabilmente aiutato anche dalla biografia di Jordan Belfort stesso, la trasposizione cinematografica si adatta a tanti dei protagonisti precedenti di Martin Scorsese. Nessun riscatto, nessuna rivalsa. La vita vera e non il grande sogno del Cinema contemporaneo. Un protagonista che agisce per fare ciò che ama, non per seguire una morale o una rivalsa sociale.

Lo sguardo fisso in camera come Toro Scatenato, Di Caprio dipinge la circolarità del film, e in questo caso anche della vita del personaggio che interpreta, ritornando al punto di partenza. La gente comune a cui insegnare quelle stesse tecniche di vendita che lo hanno condotto in prigione.Ma si sa, alla vita non manca certo il sarcasmo. Dopo che un farabutto vendeva spazzatura alla gente comune, dopo esser stato beccato con le mani nella marmellata con un fatturato di oltre il miliardo di dollari a fine anni ’90, dopo essersi fatto qualche anno di carcere per aver collaborato con la giustizia, sarei proprio curioso di sapere dopo il libro e il film (di cui spero abbia preteso parte dei ricavi) se è tornato a navigare nell’oro il nostro Jordan.Tornando al film, non aspettatevi un novello Gordon Gekko, di finanza ne troverete ben poca. Droga a profusione, baccanali e un tripudio di continue esagerazioni condite da scene di sesso fintissime. I soldi sono il motore di tutto, l’apri porta di qualsiasi cosa, il pavimento in grado di far raggiungere qualsiasi meta. E il sogno americano del self made man si infrange contro la normalità delle cose. Come un viaggio in metropolitana anche se si è agenti dell’FBI.Per i più attenti. Qualche chicca dagli effetti speciali:[embed]https://vimeo.com/83523133\[/embed\]Non lascia dentro niente, non c’è una morale in questo film, ma ve ne consiglio la visione. Anche solo per assistere a delle ottime interpretazioni. Citazione speciale per Jonah Hill. Il coetaneo protagonista di SuperBad (tra l’altro sembra aver guadagnato un becco di un quattrino) diventato ormai veramente un attore completo.Un grazie personale a Scorsese per non aver messo in scena i tipici stereotipi degli italiani nel mondo:[embed]https://youtu.be/XyduML3SNfo\[/embed]

Sul crescere da videogiocatore

Questo è un post che meriterebbe di stare, per argomento, su Fuorigio.co. Tuttavia, mentre lo scrivevo, è stato in grado di far riaffiorare ricordi ed emozioni da farmi decidere di pubblicarlo qui.Questo è un post per chi come me è cresciuto sulla coda degli anni 80 e ha fatto tesoro di quanto Amiga, Commodore, Atari, Capcom, SEGA e Nintendo ci hanno lasciato e fatto diventare.Lo spunto arriva da Sean Smith, un ragazzo di Atlanta, blogger e creativo di 22 anni. Una riflessione nella sostanza nemmeno troppo profonda, ma molto sincera e sentita.Come i videogiochi, averci giocato, averli affrontati con le giuste spiegazioni, averli compresi con il giusto discernimento tra finzione e realtà gli abbiano, o meglio ci abbiano, consentito di affrontare la vita, soprattutto quella lavorativa, con uno schema mentale differente.Ma soprattutto, ringraziare questo processo di apprendimento “parallelo” per averci fatto diventare ciò che siamo oggi. Così come Sean, difficilmente potrei immaginare ciò che sono in grado di fare oggi senza aver avuto la compagnia di un computer dall’età di 5 anni.E questo non significa esser cresciuto dentro quattro mura, all’oscuro dal mondo e dalla spensieratezza dell’infanzia. Come tutti anche io ritornavo con i vestiti sporchi di fango per aver giocato a calcio tutto il pomeriggio, con la tirata d’orecchie per essere rincasato dopo il tramonto.Tuttavia, gran parte del mio tempo lo dedicavo ai videogiochi, lo trovavo in qualsiasi modo, lo creavo invitando a casa mia gli amici, escogitavo il modo di fare pause tra uno studio e l’altro per superare i livelli, scappavo in mansarda ad ammirare un po’ stranito quell’aggeggio bianco con sopra la scritta Amiga 500 non sapendo bene come animarlo.Anche se la cosa che più mi ha avvicinato a questo mondo è stata l’area cabinati al bar dei miei genitori nel 1990. Provate ad immaginare un ragazzino di 7 anni con 7 cabinati, 1 flipper e l’accesso diretto alle monete da 500 lire nella cassa del bar. Dopo pochi mesi sapevo ogni trucco di Hammerin’ Harry, ho rischiato più volte di prendere botte da ragazzi 30enni che puntualmente stracciavo a Street Fighter con Blanka. Da qui in avanti è stata un’escalation: amavo Sonic alla follia, odiavo Super Mario con tutte le mie forze, ho bruciato la cartuccia di Rygar sul mio Atari Lynx, giocai e mi innamorai perdutamente nella primavera del ’99 a Metal Gear Solid. Il resto è storia recente.Tutto ciò ha influito solo positivamente sul mio modo d’essere e sulla velocità con la quale apprendevo le cose e il mondo che mi circondava. Da qualsiasi gioco sul quale posassi le mie mani sapevo di potermi portare via qualcosa, in modo totalmente inconscio, ma lo sapevo. Così come sapevo che si trattava di finzione, di una realtà altra dove vigevano regole differenti alle quali potevo prendere parte, ma solo per un tempo limitato. Tuttavia c’erano delle esperienze, delle meccaniche intrinseche al mezzo, fondamentali per la mia crescita.

Le innumerevoli partite in doppio a FIFA ’97 con il mio amico fraterno Alessandro. Una squadra debole a caso, il Cagliari, e via a farsi tutto il campionato solo per il gusto di comprendere come ragionasse l’intelligenza artificiale del gioco e vincere impegnandosi al massimo, adattando soluzioni differenti a seconda della partita, dell’azione, del momento. Dai primi sparatutto come Doom o Quake ho conservato il senso di immediatezza, la richiesta costante di una soluzione rapida altrimenti in ballo c’era la sopravvivenza stessa e il proseguo del gioco. La capacità di prevedere l’imprevisto dietro l’angolo grazie al primo Need for Speed Hot Pursuit su PC.O ancora l’impagabile esperienza avuta lo stesso anno della mia prima connessione ADSL circa 12 anni fa. Dapprima con Ultima Online sul computer, ma soprattutto da quando ho potuto collegare la mia Xbox ad Xbox Live iniziando a condividere esperienze, cultura, linguaggi con persone dall’altro capo della terra. I muri della mia stanza d’un tratto non esistevano più e il condividere la mia passione più fervida con il globo terraqueo mi sembrava la cosa più incredibile di sempre. Non era soltanto uno scambio di opinioni e di vedute, era una condivisione di talenti. Ricordo ancora mio papà a cena domandarmi con chi avessi parlato tutto il pomeriggio, pensando fossi impazzito e avessi iniziato a parlare da solo. Mentre ero connesso con il mondo.Schemi mentali, lavoro di team, molteplici soluzioni in momenti di altissimo stress, capacità di previsione, comprensione dell’ambiente circostante e conseguente adattamento, determinazione a raggiungere un obiettivo, lasciare da parte la gloria personale per potare avanti quella della squadra. Tutti concetti assimilabili dai libri o dall’esperienza. La mia, così come quella di tanti altri videogiocatori, è iniziata parecchio prima di molti coetanei.Ci potrei scrivere un libro su tutte le volte che venivo beccato a passare un livello di Halo invece di studiare per l’esame di Macroeconomia all’Università. Anche se devo essere sincero, ad oggi è stato molto più utile così. Per chi sono oggi e per la mia carriera.Immagino che come me e Sean in tanti abbiano oggi questo sentore, ma anche se così non fosse, se vi capitasse di tanto in tanto di sentire qualcuno esclamare:

…i videogiochi sono adatti solo a chi non ha voglia di fare molto nella vita, trasformano i ragazzini in bestie in grado di compiere stragi pluriomicida perché passano troppo tempo a giocare a GTA, i videogiochi trasformano le persone in ameba asociali…

Ecco.Tutte cazzate. Se avete dei figli, non fategli perdere questa opportunità, guidateli nel modo giusto e tra qualche anno ne vedrete i frutti. Passo e chiudo.

Ventiquattordici

Proprio come l’anno passato, anche quest’anno ho chiuso il mese riportando alla ribalta il tema dei blog e della loro, apparente, prematura scomparsa secondo l’opinione di qualche socalled guru del Web.Ieri si aggiunge Dave Winer, uno che di blog se ne intende:

It’s important to feel free to tell your story even if it cues up other people’s permission to be jerks. Oh this person is showing vulnerability. Let’s make her pay! I get it all the time. I’ve been getting it since I started blogging in 1994. I still do it, because it’s what I do. I couldn’t stop, even though I’ve tried, any more than I could stop breathing.

Immancabile, inoltre, il suggerimento musicale di questi 365 giorni lasciati alle spalle e gli album meritevoli di ascolto. I primi due, visti anche in concerto.Il primo è senz’altro AM degli Arctic Monkeys. Sicuramente dal mio punto di vista il loro miglior lavoro, maturità raggiunta, alternative rock quasi del tutto abbandonato per sonorità meno veloci, prediligendo una chitarra dolce e allo stesso tempo potente. Forte l’influenza di Josh Homme dei Queens of The Stone Age. Miglior album rock dell’anno. Da avere!Il secondo è in realtà un album del 2012, scoperto tuttavia nel 2013 inoltrato. Si tratta del primo, ed omonimo album, di Jake Bugg. Giovane artista inglese con sonorità in grado di mixare il folk con il rock. Uno stile diverso da Langhorne Slim, ma che tanto mi riconduce a quella band. Profondo e sincero, un bravo autore molto tecnico. Trovate ora anche il secondo disco uscito da poco prodotto nientemeno che da Rick Rubin.Il terzo ed ultimo, non in ordine di importanza è l’ultima fatica di Paul McCartney, New. Dopo i Beatles non ho mai ascoltato nessun altro lavoro del Sir, ma Spotify me l’ha suggerito come affine ai miei gusti. Devo ammettere, seppur vicino alle sonorità che lo hanno reso famoso, Paul aggiunge un pizzico della migliore verve rock indie. Innovatore, senza perdere se stesso. Merita un ascolto.Gli auguri, come sapete, per me portano male, perciò non smettete di sognare in questo ventiquattordici.

La mia nuova Next-Gen

Qui in redazione mi hanno tacciato di esser folle a voler comprare entrambe le nuove console al day one. E in parte devo dar loro ragione, visti i problemi che hanno afflitto sia PS4 che Xbox One al fatidico Day One. Con buona pace loro e toccando tutti i ferri possibili per ora sono entrambi funzionanti.Ho deciso di iniziare questa nuova avventura generazionale puntando molto su Xbox One e scegliendo come giochi di partenza l’immancabile FIFA 14, Forza Motorsport 5 e Ryse. Ancora incartato e in attesa di essere degustato durante le feste Call of Duty: Ghosts. Mentre su Playstation 4 ho acquistato per ora in formato digitale soltanto Need For Speed Rivals.Dedicherò pertanto capitoli a parte per la descrizione completa di quest’ultimi. Ryse al momento quello che mi ha impressionato più positivamente. Forza quello da gustare più a lungo. FIFA ha definitivamente sconfitto PES e Need For Speed Rivals è parecchio divertente.

Le console: le apparenze

Cercando di rimanere in un ambito d’opinione neutra, considerando l’essere multipiattaforma come la garanzia d’equità nel giudicare quello che mi si presenta davanti agli occhi, non ho potuto fare a meno di notare come a livello di packaging Xbox One si è presentata con tutti i crismi del caso. Perché anche l’unboxing vuole la sua parte e la cura dell’apparenza è tanto importante quanto quello che sta dentro. Playstation 4 invece arriva con un paio di involucri di cartone, molto scialba, quasi per dare adito al giocatore di inserirla immediatamente alla presa della corrente.Passando al form factor. La console di Microsoft assomiglia molto più a un DVR o un decoder qualsiasi, lasciando lo sforzo di design tutto al pad. E’ una scatola rettangolare nera, senza particolari dettagli se non quella parte lucida contrastata dalle barre oblique nella parte superiore. Playstation 4, dal canto suo, non ha abbandonato completamente lo stile della precedente edizione, mantenendo lo stile “monolite”. Si presenta come un parallelepipedo obliquo, disegnato in una camera del vento.Dal mio punto di vista nessuna delle due ne esce vincitrice. Non è stata data particolarmente attenzione ad una scatola destinata a contenere pura potenza. La sola pecca, se così vogliamo chiamarla, è la presenza esterna (ancora una volta) dell’alimentatore di Xbox, che assomiglia come sempre alla trappola dei Ghostbusters!

Le console: la potenza

Ciò che ha permesso alla precedente generazione di console di sopravvivere così a lungo è stata un’architettura costruita per fruire fino all’ultima goccia della potenza in dotazione. Così su due piedi, viste le dotazioni molto simili tra le due macchine (8 core per entrambi, così come 500GB di Hard Disk) le intenzioni paiono identiche. Da qui per altri 10 anni ci faremo l’abitudine insomma.Sul capitolo potenza ho poco da dire, nel senso che, sì il salto grafico è evidente, ma non si può ancora gridare al miracolo. Questo perché per sfruttare appieno anche le funzionalità di comandi vocali e gestuali, l’effetto WOW dovrà aspettare ancora un paio di anni almeno. Posso solo discorrere al momento del contorno di ciò che fa di Ps4 e Xbox One le console migliori ad oggi sul mercato.Xbox One ha dalla sua la nuova versione di Kinect. Da qui l’evoluzione e il ripensamento di interazione uomo-macchina. Attraverso Kinect è possibile gestire con la sola parola la navigazione tra i menu, passare da un gioco alla dashboard e se integrata con il decoder Sky o Mediaset Premium passare direttamente alla visione della TV. Quest’ultima funzionalità possibile grazie all’ingresso HDMI di cui è dotata la console. L’interfaccia all’accensione, inoltre, appare molto semplificata capace di gestire e saltare da un’opzione all’altra con molta semplicità.Le pecche impossibili da non menzionare: L’assenza (almeno non l’ho trovata) di poter parlare con un amico della propria lista con un’audio chat. Funzionalità presente in Xbox 360 e stranamente sparita su Xbox One. L’altra è la lunga, lunghissima attesa per poter installare i giochi all’interno della console. Tempi d’attesa il più delle volte dettati dalle grosse dimensioni di aggiornamento dei giochi una volta avviati. 6GB per Foza Motorsport 5, 3GB per Ryse. 2 ore circa per il primo, 1.30h circa per il secondo. Insomma, non proprio il massimo dell’immediatezza.Playstation 4 ha dalla sua un’interfaccia molto minimal che ripercorre molto quella di Playstation 3. Non ho acquistato Playstation Camera, non so quindi darvi metri di paragone rispetto a Kinect. Come non so darvi termini per paragonare i tempi di installazione in quanto ho scaricato quasi 40 GB di Need For Speed mentre la console era in stand by. Pur pagando ora il servizio online di Playstation, lo reputo ancora inferiore rispetto a Xbox Live. Quello che posso dire è che al lancio mi aspettavo qualche titolo in esclusiva in più, visto che la stragrande maggioranza è stato ritardato. Rimando quindi un giudizio finale e più appagante non appena avrò ampliato il mio parco titoli. Per ora godetevi l’editoriale del nostro Pasquale.Entrambe presentano la possibilità di registrare delle brevi clip dei momenti salienti di gioco. Playstation 4 ha in più dalla sua il tasto “Share” presente sul pad in grado non solo di salvare gli ultimi 15 minuti della partita fatta, ma integra quest’ultimo al vostro profilo Facebook consentendovi di condividerlo istantaneamente sul Social Network.

Le console: i gamepad

Dopo oltre 20 anni è forse la prima volta che posso dire di trovarmi bene con un pad Playstation. Pur mantenendo il nome dei suoi predecessori, Dual Shock 4, l’ergonomia pare essere migliorata soprattutto nell’impugnatura e nei grilletti non più convessi. Il pad è dotato anche di uno speaker addizionale per alcuni tipi di giochi, così come di una superficie touch molto simile a quella della console Playstation Vita. Il pad presenta, come già menzionato in precedenza, il tasto “Share” che alla pressione consente di condividere gli ultimi minuti di gioco in Rete.Il pad di Xbox One è la naturale evoluzione di quelli di Xbox 360. Risulta essere più compatto e molto ben curato nelle più piccole finiture, come le gomme che rivestono lo stick analogico. La chicca di questo pad, per me il migliore tra i due, è l’introduzione di due motori all’interno dei grilletti. Quest’ultimi si attivano in alcuni giochi, come ad esempio quelli di guida al momento dell’accelerazione e della frenata. Di molto migliorata sia la croce direzionale, sia la cuffia (sua naturale estensione). Il lavoro fatto sul pad è comunque sintomo del fatto che nonostante la chiave di volta di Xbox One sia Kinect, e quindi la totale assenza di un controller, l’attenzione posta è stata particolarmente alta.

Conclusioni

Si, lo so. Non potrei darvi dei consigli senza aver parlato di giochi. Tuttavia, visto che mancano davvero pochissimi giorni al Natale, il mio consiglio spassionato è quello di dirvi di aspettare a comprare. Vado contro tendenza e contro quanto appena fatto dal sottoscritto. Tuttavia, a meno che non abbiate nessuna console, credo sia meglio sfruttare appieno ancora Xbox 360 e Playstation 3 e suggerirvi di entrare nella nuova next-gen tra qualche mese, dopo che i bug di sistema saranno stati risolti e, soprattutto, dopo che arriveranno i primi titoli pesanti. Leggasi: Watchdogs, Drive Club, Halo 5 etc. etc.Se invece proprio non potete farne a meno non fate scelte avventate, ma provate a pensare a quello che sarà lo sviluppo futuro di queste console. Xbox One garantisce non solo un grande parco di giochi, ma da qui in avanti punterà tantissimo sui contenuti multimediali e sulle serie TV proprietarie, a cominciare dall’esclusiva Halo Series realizzata da Steven Spielberg. Playstation 4 ha dalla sua un esplicito orientamento dedicato agli appassionati di giochi, tuttavia con ancora un parco titoli scarno darà il meglio di sé tra qualche mese. E’ comunque da prendere in considerazione per esclusive future come i titoli Sony e il mondo degli Studios ad essa correlata.Buon Natale e buona scelta. Comunque vada evviva la multipiattaforma!

La mia New York

Questo è quanto ho caricato su Flickr. Dentro ci sono gli odori e i suoni di qualcosa di instancabilmente esagerato, in continua ricerca di qualcosa di più grande, la vetta più alta che possa toccare il cielo o la galleria più profonda per passarci attraverso.Ah si, dimenticavo…Una delle cose più buffe è stato vedere il conducente della metropolitana a circa metà dei vagoni e fermarsi in un preciso punto. Non sapendo come mai, ho trovato questo divertente video che li prende anche un po’ in giro.Fateci caso se ci andate.Qualsiasi persona conosciate che ci è stato almeno una volta si affretterà a consigliarvi un posto dove mangiare, specialissimo e sconosciuto. Fidatevi dell’istinto e delle vostre papille gustative. Io posso solo suggerire un posto conosciuto, con tanta gente, ma poca attesa e personale cordiale. In breve, il miglior hamburger mai mangiato in vita mia: Bill’s Bar & Burger.Non è necessario condividere lo spirito statunitense per volerla visitare, vi basta solo esser pronti per incontrare il resto del mondo, l’esagerazione mai volgare, il diverso e voi stessi.Buon viaggio.

Non toccate la pasta agli italiani

Da piccolo mi domandavo se prima o poi a tutte le famiglie spettasse di diritto abitare in una casa immersa nella campagna con un mulino poco fuori l’uscio, dove il tempo sembrava intatto e la vita trascorreva come in un libro di narrativa di fine ‘800.

Poi ho cominciato a farmi le stesse domande con tutte le altre pubblicità, non solo quelle del gruppo Barilla, provando ad immaginarmi immerso nell’Axe per vedere l’effetto che faceva sulle ragazze, oppure immaginando il momento successivo al ritiro di un automobile con strade completamente deserte e panorami mozzafiato con curve ogni 50 metri.

La pubblicità ha un potere comunicativo molto forte, e l’intenzione è quella di creare situazioni perfette proprio per essere il maggiormente impattanti nella memoria di chi le guarda cercando di stimolare corde emotive tanto da emozionare gli spettatori più del programma stesso a cui essi assistono. E la rapida evoluzione di questo concetto ci porta ai giorni nostri con un’estremizzazione dello stesso. Per dire, il Super Bowl non sarebbe lo stesso senza gli spot pubblicitari.

A pensarci bene poi è pressoché impossibile ritrovare situazioni che combaciano perfettamente con la realtà delle cose all’interno della pubblicità, le estremizzazioni delle stesse hanno lo scopo di diffondere i valori con il quale il brand si riconosce, il suo posizionamento nel momento storico in cui si trova, lasciare spazio all’immaginazione del consumatore.

Flash forward al fatto della settimana. Guido Barilla, presidente dell’omonimo gruppo alimentare, dichiara questo al programma La Zanzara condotto dal giornalista Giuseppe Cruciani. Qui la puntata integrale. Mentre di seguito l’estratto audio incriminato:

[embed]https://soundcloud.com/acontino/guido-barilla-la-zanzara-cut\[/embed]

«Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale. Non per mancanza di rispetto ma perché non la penso come loro, la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale». «Noi abbiamo un concetto differente rispetto alla famiglia gay. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane un valore fondamentale dell’azienda». Ma la pasta la mangiano anche i gay, osservano i conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo: «Va bene, se a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, altrimenti mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti»

Io non giudico il contenuto di quanto dichiarato, un brand attraverso le parole del suo presidente ha il diritto (con le relative conseguenze) di rivolgersi e indirizzare il proprio marchio verso chi più gli pare e piace, nel rispetto di tutti.

Pur essendo interessante dal punto di vista comunicativo, la vicenda presenta uno schema classico di azione-ritorsione-negazione a cui ci ha abituato molto frequentemente l’inesperienza comunicativa di molti brand nei social media. Le pressioni mediatiche e di personaggi famosi (vedi la petizione di Dario Fo e Roberto Vecchioni) hanno fatto si che Guido Barilla si scusasse pubblicamente su Twitter, Facebook, attraverso un comunicato e un video sul sito dove dichiara di voler incontrare le associazioni che rappresentano ogni tipo di famiglia.

La vera colpa di Guido Barilla è quella di essere cascato, consciamente o meno, nella rete tessuta da Cruciani, giornalista molto abile nel far andare i suoi ospiti nella direzione in cui vuole farli andare, imboccandoli con parole, non casuali, ma adatte a far notizia il giorno dopo. E’ l’impostazione comunicativa del programma La Zanzara, rendere più umani i pensieri impostati, e sebbene i personaggi telefonici che lo abitano sembrano i peggiori rappresentanti del tricolore, sono anche quelli che determinano il successo del programma e rappresentano il pensiero di tanti italiani.

https://twitter.com/giucruciani/status/383323136831127552?s=20

Per fortuna o purtroppo, giudicate un po’ voi, il sig. Barilla rappresenta uno tra i marchi italiani più noti al mondo e questa “responsabilità” aziendale lo ha costretto a rivedere le sue posizioni in merito. E qui sono d’accordo con Gigi.

Quello che con fatica invece capisco è come un errore comunicativo dettato da una scelta di parole mal utilizzate e dalle quali è scaturita una escalation esponenziale di speculazione, abbia innalzato il livello di pressione ideologica alle stelle. Cosa che reputo davvero distante da altre responsabilità in capo a Barilla. E mentre il nostro Paese affonda nel baratro più nero accecato dalle false promesse di questi ultimi anni, c’è ancora qualcuno che piuttosto di cercare di dare una svolta al nostro futuro preferisce attaccarsi a questo genere di situazioni che francamente lasciano il tempo che trovano.

Tuttavia è l’inevitabilità dei tempi in cui stiamo vivendo, dove la partecipazione al flusso di opinioni di parte di tutti contribuisce ad innalzare i toni su situazioni dalla dubbia importanza vitale, salendo sul carrozzone degli urlatori, di quelli bravi a puntare il dito, piuttosto che quello del cambiamento vero e concreto.