I falsi miti di un blog

Mi piace andare a cercare tramite qualsiasi suggerimento nuovi spazi online dove scoprire la storia personale di ciascuna persona. Nessuno lo riesce a fare meglio di un luogo dove c’è prettamente testo, dove non ci sono strane logiche di filtro a cui sottomettersi per poter apparire. Tendenzialmente chi ha una propria landing page fatta in questo modo, cioè proprio questo, come la mia, dove si scrive e scrive e basta, scrive di sé in modo trasparente e senza filtri.

Oggi ad esempio ho scoperto questo blog. E il post che mi hanno linkato riportava delle osservazioni interessanti su 7 falsi miti legata all’attività di blogging. Quello che personalmente spicca sugli altri vi è questo:

I think the reason I keep writing these blog posts encouraging people to blog is that I love reading people’s personal stories about how they do stuff with computers, and I want more of them. For example, I started using a Mac recently, and I’ve been very annoyed by the lack of tracing tools like strace.

So I would love to read a story about how someone is using tracing tools to debug on their Mac in 2023! I found one from 2016, but I think the situation with system integrity protection has changed since then and the instructions don’t work for me.

That’s just one example, but there are a million other things on computers that I do not know how to do, where I would love to read 1 person’s story of exactly how they did it in 2023.

L’amore per le storie personali e quelle che riesco a trovare online è il mio motore per continuare a condividere le mie. Vorrei farlo più spesso e più in profondità. Conto di farlo tra non molto, tra qualche settimana sarà tutto più chiaro anche per chi sta leggendo queste righe. 🕺🏻

Snellire

Reduce da qualche mese di tira e molla con altre piattaforme, ho deciso di dare una sistemata definitiva al blog.

Tutto quello che segue si è basato su un’attenta analisi dei link di atterraggio, della fruizione una volta in home page, dei comportamenti vari una volta intercettato questo luogo.

  • Ho eliminato la categorizzazione dei post. Non ne vedrete più, comanderà soltanto il titolo. In realtà da backend continuerò a suddividere i post per argomento, in modo che se dovessi linkare una particolare collezione di post, posso ancora farlo. È una decisione sensata, nessuno clicca più su un set di post particolare, ma fruisce dei miei contenuti atterrando direttamente sul singolo post
  • Ho eliminato i like e il tasto share. Anacronistici e inutilizzati. I like richiamavano troppo le dinamiche dei social e questa cosa non mi piaceva troppo. Il tasto share ormai conteneva social che in pochi utilizzano ancora per condividere i miei contenuti
  • Ho eliminato il tasto Commenta. No, non ho eliminato i commenti. Si può continuare a commentare sempre e comunque, soltanto lo si può fare entrando all’interno del post. Pratica, come dicevo qui sopra, tra le più diffuse nel fruire il mio blog
  • Ho eliminato il tasto cerca nel menu in alto. Altra funzionalità usata da nessuno
  • Ho eliminato il preset di icone social fornite dalla piattaforma nel footer. Ora c’è solo testo e link per me importanti

Non so se è un ammodernamento e alleggerimento dell’esperienza. A me pare così. Del resto ai pochi lettori che ancora mi seguono è sufficiente quello che scrivo. Un post alla volta.

Oppenheimer

Ho avuto la fortuna di vedere Oppenheimer in sala Energia in 70mm all’Arcadia di Melzo. Così come il suo regista Christopher Nolan l’ha pensato e girato. Senza menate digitali e con tutta la bellezza della grana grezza della pellicola. Da quella grana emerge in tutta la sua potenza non tanto la bomba atomica in sé, quanto la sua portata distruttrice, il brivido di coscienza di avere a disposizione un “fuoco” sacro in grado di porre fine alla vita sulla Terra, ma forse ancora di più il fatto di aver valicato un punto di non ritorno.

Come avrete letto, tra le critiche più feroci alla pellicola si dice che nel film non succede nulla di concreto. Non è un film sulla guerra, non è un colossal, non si vedono le città giapponesi bombardate, non è un blockbuster. Forse è anche un po’ vero. Si parla, continuamente. Ma è attraverso il dialogo e alla magistrale interpretazione di Cillian Murphy, al suo volto e alla sua nemesi filmica Robert Downey Jr., che si esce dal cinema frastornati e pensando di aver visto più generi all’interno dello stesso film. Esterrefatto.

Ci ho messo due giorni a digerirlo difatti, a fare mie tutte le tematiche sottese ma evidentissime che Oppenheimer porta con sé. In primis il dramma del fisico, combattuto tra la sua convinzione di essere in missione per salvare il mondo e la sua crescente consapevolezza delle conseguenze dell'arma che ha creato. La potente e necessaria riflessione sulla natura della guerra, le sue armi e la responsabilità umana dietro alle stesse azioni. La suspence e la minaccia costante fanno passare le 3 ore di pellicola sempre con l’attesa che qualcosa stia per succedere. E poi la bomba esplode e a quel punto non si torna più indietro.

Menzione particolare voglio farla a Ludwig Göransson. Sembrava di stare dentro il Cavaliere Oscuro, tanto che ho scambiato alcuni brani con lo stile di Hans Zimmer. Il lavoro fatto dal compositore svedese è impressionante, un bagno di sensazioni accuratamente preparato per accompagnare la visione. Montagne russe d’emozione.

Spetta ancora alle generazioni future comprendere se le scoperte avvenute nella prima metà del ‘900 saranno quelle che polverizzeranno l’umanità o la salveranno dal proprio declino. Merita una seconda visione, spero sempre nella stessa sala.

★★★★★

People & Blogs

This is the 1st edition of People and Blogs, the series where I ask interesting people to talk about themselves and their blogs. Today we have Manton Reece and his blog, manton.org. Manton is the creator of the micro.blog platform and JSON Feed, an alternative format to the more traditional RSS and Atom.

To follow this series subscribe to the newsletter. A new interview will land in your inbox every Friday. Not a fan of newsletters? No problem! You can read the interviews here on the blog or you can subscribe to the RSS feed.

Manuel inizia una serie di post, People and Blogs, molto interessante fatta di interviste a blogger più o meno famosi che fanno parte della sua dieta mediatica. Il primo ad essere intervistato è Manton Reece, il papà di Micro.blog.

Vi consiglio di seguirla. Ogni venerdì ce n’è una e magari ci finirò dentro anche io molto presto. 😏

Il mito del secondo cervello, pt. 2

In short: it is probably a mistake, in the end, to ask software to improve our thinking. Even if you can rescue your attention from the acid bath of the internet; even if you can gather the most interesting data and observations into the app of your choosing; even if you revisit that data from time to time —this will not be enough. It might not even be worth trying.

The reason, sadly, is that thinking takes place in your brain. And thinking is an active pursuit —one that often happens when you are spending long stretches of time staring into space, then writing a bit, and then staring into space a bit more. It’s here here that the connections are made and the insights are formed. And it is a process that stubbornly resists automation.

Anche chi ne ha fatto uso estensivo, un giornalista, arriva alle mie stesse conclusioni.

PlayStation Portal

Include le caratteristiche principali del controller wireless DualSense, tra cui grilletti adattivi e feedback aptico*. Il brillante schermo LCD da 8 pollici è in grado di offrire una risoluzione 1080p a 60 fps, per l’esperienza visiva ad alta definizione che ci si aspetta dai giochi di elevata qualità creati da sviluppatori di prim’ordine.

PlayStation Portal è il dispositivo perfetto per i gamer che potrebbero avere bisogno di condividere il TV in salotto o semplicemente di giocare ai giochi per PS5 in un’altra stanza. PlayStation Portal si connette in remoto alla PS5 tramite Wi-Fi**, così potrai passare rapidamente dalla PS5 a PlayStation Portal.

Finalmente si hanno maggiori informazioni su PlayStation Portal, il primo dispositivo di riproduzione remota per PlayStation 5. A livello hardware la notizia per me più interessante data durante la Summer Games Fest dello scorso giugno e spiegata meglio l’altro ieri da Sony a margine della gamescom.

PlayStation Portal remote player, il primo dispositivo di riproduzione remota dedicato di PlayStation

Il device si presenta come uno schermo incastonato tra due metà di un controller DualSense. A un prezzo di 219 euro, permette di giocare a qualsiasi gioco installato sulla propria PlayStation 5 (tranne quelli VR) attraverso la funzionalità di riproduzione remota. PlayStation Portal da quanto capisco funziona sia se utilizzato sulla WiFi della medesima rete locale, ma anche se ci dovesse trovare dall’altra parte del mondo con la propria PlayStation 5 adeguatamente connessa a casa propria.

La cosa più strana di tutte, visto che il device è capace di streammare, appunto, da remoto è l’assenza del supporto ai giochi riprodotti tramite lo streaming nel cloud di PlayStation Plus Premium.

Una mancanza piuttosto importante. Tant’è, questo tipo di utilizzo parla a videogiocatori come me. Nonostante l’esperienza da salotto rimanga quella più appagante, a volte mi trovo a giocare dal letto o dall’hotel in cui mi trovo con questo tipo di set-up ed avere un device nativo in grado di assolvere questo compito penso mi alleggerirebbe un pochettino il carico di trasporto.

Il prezzo sembra sufficientemente competitivo, mi domando quanto si diffonderà e quanti acquirenti lo confonderanno con una console portatile invece che un mero riproduttore di contenuti attraverso internet.

Golden hour

Isuledda, o più erroneamente chiamata Isola dei Gabbiani, è la culla di Porto Pollo. Questa lingua di sabbia nel nord della Sardegna che termina con istmo è uno dei miei posti del cuore e ben presto lo è diventato anche per Noemi.

Qui dove il vento sferza senza sosta, c’è la vita sospesa in cui tutto è possibile.

A cosa ti serve il tuo smartwatch?

È una domanda genuina, piena di curiosità. Mi piacerebbe sapere tra chi utilizza smart watch se si è mai posto questa domanda. Se in effetti tracciare il proprio percorso di fitness, di battito cardiaco o qualsiasi altra cosa è mai servito realmente a qualcosa, ma soprattutto se ha inciso nel proprio cambio di comportamento.

Da oltre un anno ho abbandonato il mio Apple Watch. Da oltre un anno non ne ho mai sentito la mancanza. Anzi, a dire il vero ho smesso completamente di indossare orologi. E dire che una volta potevo annoverarli tra le mie passioni più grandi. Eppure ho smesso di badare troppo al tempo, funzione principale di un orologio ovviamente, ma soprattutto di avere l’affanno di tracciare tutta la mia vita. Non c’è un vero motivo per farlo, quindi perché dover sprecare tempo per farlo?

Lo spunto di questo post arriva da uno letto ieri:

I need an alarm. But here’s the thing: I know how I slept because I’m either rested, or I am not.

So, do I really need something to tell me how to feel?

Non è una critica, non è un monito per convincere gli indossatori di smart watch a doverli abbandonare da qualche parte. È solo interesse per comprendere se realmente vi è utile e vi siete posti la domanda corretta prima di acquistarne uno invece di voler apparire alla moda. La trappola in cui ero caduto io e da cui per fortuna sono uscito.

Più social network a disposizione ci sono, meno ho voglia di utilizzarli?

Ho preso spunto da questo post di Chris Hannah.

I think the reason why I’m preferring to write for my blog over social media, is that it’s a more biased relationship. It allows me to collect my thoughts, and then express them in whatever form I feel fits the content and context. And then if people want to reply in any way, they can do so via email, Mastodon, X, etc. But, at a slower pace, and also in any which way they feel relevant.

The real-time speed and perceived urgency of social media are reasons why I’ve stepped back from it a bit. So, if you’ve sent me a message online or by email, know that I’m probably not ignoring you. I either haven’t got around to reading it yet, or I haven’t yet found time to think and reply.

Mi sento abbastanza rappresentato da questo pensiero. Negli ultimi mesi ho testato a fondo Twitter Blue e le sue funzionalità, ho assistito al suo rebranding e diventare X, ma continuo ad utilizzarlo con costanza solo per restare aggiornato sul mondo gaming e calcio. Nient’altro. Ho saltato tra un’istanza e l’altra di Mastodon cercando di capirci qualcosa, talvolta sono finito in un marasma di spam, altre volte mi son sentito come la famosa particella di sodio. Instagram lo utilizzo prettamente per lavoro e per postare qualche storia rilevante per amici stretti. Avevo riposto grande fiducia in Threads, ma è stato limitato all’utilizzo da parte degli europei. Infine, dopo una prima fase in cui credevo fortemente potesse essere una valida alternative in cui nascere qualcosa di buono, BlueSky si è pian piano riempito di spammer e contenuti poco interessanti per me.

Ho guardato un po’ le statistiche di utilizzo sul mio telefono, forse poco veritiere visto che ho a disposizione una vastità di dispositivi con cui accedere, ma ho constatato come passo non più di 20 min al giorno su un qualsiasi social network. Mentre passo molto più tempo su Feedly a leggere blog e contenuti più interessanti.
Probabilmente sono giunto ad un punto dove la sovrabbondanza di contenuto, il rumore di fondo ingestibile e il senso smarrito di community (che ho ritrovato in parte su Discord) mi stanno facendo mal digerire la voglia di essere presente lì e continuare a investirci tempo.

Piuttosto scrivo qui. Rifletto meglio, ho lo stimolo di scoprire e approfondire, ma soprattutto la conversazione è sempre aperta.

Own it

I feel a sense of peace of mind here. Where social media feels like a busy commercial area, full of flashing lights and noise, this is more like a quiet home in a quiet neighborhood. All of these things are why I’m an advocate of owning your own webspace. Largely, because it’s your own webspace. Not Meta’s, not Twitter’s (or whatever the fuck they’ll call themself in 24 hours), nobody else. It’s yours. Own it.

via Skoo.bz

Come dicevo, non ci sono più scuse.