Questa settimana è venuta a mancare una persona importante per la blogosfera italiana e non solo. Giuseppe Granieri l’ho incontrato a qualche barcamp, non abbiamo mai scambiato una chiacchiera più profonda di un saluto, ma ci leggevamo reciprocamente. Ho letto i suoi libri in cui talvolta ho trovato la voglia di buttare giù due righe o anche solo evitare di chiudere del tutto questo posto.
Nel feed mi è apparso un post di Sergio. Ricorda Giuseppe tracciando un affresco malinconico di ciò che è stata quella fiammata chiamata blogosfera attorno all’inizio degli anni ’10 in Italia e che, con mio grande rammarico, oggi non c’è fondamentalmente più.
È inutile elencarne qui tutti i motivi. Ci si può arrivare facilmente passando in rassegna ciò che è arrivato sul mercato negli anni subito successivi e cosa ne è conseguito. Ma quella scintilla, seppur breve e forse insignificante alla stragrande maggioranza della popolazione italiana, ha contato e conta ancora qualcosa.
Ne è valsa eccome la pena. Ha forgiato la maggior parte di noi, ha forgiato una generazione, ha forgiato un’ideologia, molto più umanistica che tecnologica, che certo ora andrebbe evoluta e messa a punto, ma che avrebbe potuto contribuire a correggere le esasperazioni dell’unica idea occidentale di società ancora in circolazione, con l’eccezione forse dei movimenti neo-ambientalisti, ovvero la società dei processi di massa e del consumismo. Per di più nel suo momento più pericoloso: il declino. Non ne abbiamo giovato? Siamo rimasti precari irrisolti senza certezza del futuro? Può essere, ma è il destino che a un certo punto ci siamo scelti, e io anche nei giorni di maggior sconforto non riesco proprio a rinnegarlo.
La forza di quelle connessioni, quelle nate dai cross-link e dai barcamp, per me hanno sempre avuto maggior presa qui, attraverso questo blog. Non ho instaurato nessun rapporto forte e duraturo in nessuno dei social network apparso dal nulla subito dopo. Non mi è rimasto niente delle centinaia di foto o testi pubblicate su piattaforme che ho contribuito ad alimentare con i miei dati. Tutto è sempre e solo partito da qui. Da un blog nato nel 2007 per documentare in viaggio in Canada.
Non sono invece particolarmente d’accordo con la risposta di Massimo:
Eravamo ingenui e in buona fede dentro un enorme errore di prospettiva. Ecco forse questo mi allontana un po’ dalla ricostruzione di quei tempi scritta da Sergio: quella roba lì era la nicchia della nicchia, i nostri blog, gli aggregatori, i feed rss attraverso i quali restavamo in contatto, non influenzava altro se non noi stessi (oltre che i quattro gonzi dei media che sono sempre alla ricerca del nuovo fenomeno da raccontare) mentre gli strumenti di rete sociale che sono venuti dopo (in Italia quasi solo FB) quelli sì hanno modificato le prassi sociali dei cittadini. Certo a quel punto era tardi, la piattaforma perseguiva scopi totalmente differenti, gli utenti affluivano a milioni privi di qualsiasi cultura digitale, il disegno sociale di una società migliore si era rapidamente trasformato in uno scarabocchio che riproduceva la società come era allora. Ma era uno scarabocchio grande, per questo contava, per questo lo si vedeva perfino da Marte.
È vero ci parlavamo addosso, è vero probabilmente solo un infinitesima parte di chi stava online in Italia ai tempi leggeva un blog, ma ai tempi c’era solo quello. C’erano i blog, FriendFee, Facebook e qualche cosina di Twitter. Non c’era altro. In ogni slide di marketing plan durante quegli anni figurava il volto di un blogger non di un influencer, non di un creator.
E per me tanti di quelli che leggevo ai tempi (e che a volte hanno continuato altrove o semplicemente hanno perduto la verve) sono stati un’enorme fonte di ispirazione. Mi hanno insegnato cose che non avrei imparato altrimenti. A volte mi hanno aperto porte inaccessibili.
È vero. Quel tempo non c’è più. Non è più il tempo di una Rete priva di social media. Non torniamo più indietro dall’era dell’ego. Ma quella corrente positiva di provare a connettere l’idee attraverso una pagina web esiste e perdura ancora oggi. È infinitesimale qui, è una professione per tanti negli Stati Uniti e forse nel resto del mondo, ma c’è di buono che queste pagine personali che abbiamo imparato a chiamare weblog saranno dure a morire.
Update: Sono contento che anche per Enrico valga lo stesso:
Perché, per fortuna, c’è chi ancora è interessato alle idee degli altri, per davvero, senza i filtri che una manciata di società tech hanno deciso di imporci e che abbiamo accettato senza fiatare trasformando noi stessi in qualcosa che non riconosciamo più.
Quindi sì, è valso la pena. E quel movimento sotterraneo, fatto di “puntini” come dice Massimo, prosegue, ha preso mille direzioni, si è articolato e da semplice è diventato complesso, specializzato, si è sprovincializzato, ecc. È talmente grande che è difficile fotografarlo. Tutti noi che abbiamo continuato, chi per mestiere, chi per piacere, a guardare le evoluzioni dello scenario dei media abbiamo dovuto, a un certo punto specializzarci, restringere il focus, scegliere di occuparci di un pezzettino di quella “cosa” che era diventata sempre più grossa e multiforme.